21 giugno 2017 – Corriere del Trentino

«Lo tsunami dell’edilizia è stato terribile» La commozione di Tomasi: «I lavoratori del settore sono splendidi, dei miti»

 

Conservare l’umanità, con il rischio d’esserne travolti, è forse l’unico modo per scansare la deriva dell’assuefazione, della routine. Ripensando a volti e famiglie, la voce di Gianni Tomasi si spezza. «I lavoratori edili sono persone splendide, miti, affrontano sia il lavoro fisico sia le difficoltà con grande dignità». Oggi presidente di Laborfonds, fino a pochi mesi fa ha guidato la segreteria Fenealt, incassando i colpi di una recessione che ha dimezzato d’emblée l’edilizia locale. «È stata una catastrofe», dice. Faticoso persino emotivamente: licenziamenti, fallimenti, mutui da pagare, famiglie a carico, figli all’università e lo spettro della disoccupazione, poi una ricollocazione ardua per gli operai. «Non nascondo — prosegue — le difficoltà anche psicologiche dopo anni e anni difficili». Le declinazioni contemporanee del burnout, dello stress correlato al lavoro, oggi sono anche queste.

Tomasi, in otto anni gli occupati del comparto edile si sono quasi dimezzati, passando dai 18.000 addetti nel 2008 a 9.500 nel 2016. Cos’è successo in Trentino?

«Il fenomeno drammatico ha riguardato tutta l’Italia, in Trentino l’eco è arrivata più tardi e molti degli effetti forse erano legati al contesto precedente. Nei decenni scorsi, l’edilizia si è sviluppata a ritmi alti, se non addirittura esagerati. Una crescita che definirei tumultuosa. L’intervento consistente della manovra anticrisi della Provincia, i cui effetti si sono visti nel 2009, ha slittato in avanti il problema. Si credeva che il tampone fosse sufficiente, quindi innestare investimenti e opere pubbliche in attesa della risoluzione potenziale, ma la congiuntura era più profonda. Forse è vero: si credeva che la crisi avesse una durata minore e si sono sprecate molte risorse. La catastrofe poi è arrivata nel 2011. Fallimenti, concordati, procedure di mobilità. Ora posso dire che anche dal punto di vista psicologico è stata molto dura».

Cosa l’ha turbata maggiormente?

«Abbiamo assistito a una progressione esponenziale delle criticità. Le prime crisi si affrontavano spiegando ai lavoratori che, andata male un’azienda, si cercava di salvarne un’altra. Ma la situazione si è generalizzata; uno tsunami ha investito il settore e ci si aggrappava a tutto, ammortizzatori sociali in testa, su cui ormai siamo specializzati nelle varie forme di attivazione. Il Progettone, per chi aveva i requisiti d’ingresso, è stato importante. Restava però il dramma di fondo: negli anni floridi si guadagnava molto bene, si faceva quindi studiare i figli, si accendevano mutui. Poi è cambiato tutto».

Cosa avete cercato di fare sul fronte sindacale? I lavoratori si sono appoggiati a voi anche emotivamente?

«Abbiamo cercato di ricorrere a tutte le possibilità, ma a volte era come dire al malato terminale che si offrivano uno o due mesi al massimo. I lavoratori speravano che noi potessimo risolvere ogni problema e di certo ciò che si poteva fare l’abbiamo fatto. Ma era ben più complesso il quadro. Abbiamo anche superato certi steccati, agendo in modo unitario. Non stavamo a guardare se un iscritto era di Cgil, Cisl, Uil: ci muovevamo insieme per limitare i danni».

Chi ha pagato il prezzo più alto? Over 50? Giovani? Stranieri?

«Forse chi non se l’aspettava. Penso a dipendenti di aziende storiche, attive da 3040 anni. Fallita l’impresa hanno addirittura scoperto di dover andare in pensione cinque anni dopo. Senza lavoro e con un allungamento della pensione, un duro colpo. A ciò si aggiunge un altro aspetto: i lavoratori dell’edilizia sono difficilmente riciclabili in altri settori, perché sono molto specializzati».

Ora la ripresa fa capolino davvero?

«I dati sono ancora negativi. Il mercato immobiliare si sta muovendo, ma c’è ancora un contesto difficile. Una cosa però la voglio dire: i lavoratori edili sono persone splendide, miti, affrontano sia il lavoro fisico sia le difficoltà con grande dignità».

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