23 giugno 2019 – Corriere del Trentino

 Debiti e crediti formativi, una trappola pedagogica

Negli ultimi giorni si è riaperto il dibattito sul sistema trentino della valutazione dei nostri ragazzi: su come la scuola si dovrebbe muovere in termini di valutazione certificativa degli apprendimenti. Introdotti dalla ministra Moratti, utilizzando peraltro il linguaggio dell’economia, e abrogati dal ministro Fioroni, i debiti e i crediti formativi hanno continuato a vivere in Trentino, andando a generare, anno dopo anno, una sorta di trappola pedagogica per gli allievi che hanno incontrato notevoli difficoltà. Nelle scuole trentine le insufficienze non comportano mai percorsi di recupero impegnativi, volti a colmare le lacune evidenziate: non vi sono gli strumenti per poter pretendere che i ragazzi riparino le lacune accumulate.
Trappola pedagogica, quindi, in quanto permette alla scuola di apparire accudente, comunque indulgente. In realtà è un sistema che volge lo sguardo altrove, spostando il problema più avanti. Ché presto o tardi i ragazzi saranno chiamati a dimostrare conoscenze e competenze raggiunte: se non sarà l’università a chiederle, sarà il mondo del lavoro. Le lacune non colmate presenteranno il conto e la trappola pedagogica le sue fattezze. La Uil scuola, inascoltata, sollevò i medesimi rilievi all’allora presidente–assessore Ugo Rossi. È necessario arrivare alla fine di un anno scolastico avendo consolidato le competenze rispetto alle diverse discipline. Il percorso scolastico è un po’ come un personale Giro d’Italia della formazione: vi sono delle tappe e ogni allievo deve poter giungere al traguardo, prima di iniziare un’altra tappa. Tanto più in un tempo come il nostro dove il percorso scolastico, improntato alla massima continuità iniziale, deve proseguire e sfociare nel tragitto formativo di ciascuno: un cammino lungo tutta la vita. E invece no. In Trentino le carenze formative certificate, al pari di un debito in perenne ristrutturazione, vengono trascinate nel corso degli anni e infine celate da una media matematica, prima dell’esame di Stato. Sbagliano quei dirigenti, pochi per buona sorte dei ragazzi, che presidiano gli scrutini facendo pressioni a che i voti siano buoni. Non rendono sicuramente un buon servigio ai tanti studenti che meritano maggior attenzione didattica e una scuola che avanza un’onesta valutazione certificativa.
Ma ai peccati di omissione, alcuni presidi riescono a sommare quelli di gola. Taluni, dimenticando la funzione della dirigenza, entrano nel merito delle valutazioni disciplinari dei singoli docenti, anziché limitarsi a svolgere il ruolo di garanti delle procedure, registi delle operazioni di scrutinio, promotori di una valutazione collegiale e condivisa. In questi ultimi anni non di rado è capitato di incorrere in addebiti e sanzioni agli insegnanti intransigenti, anziché avanzarli a qualche studente svogliato. Sembra una battuta, ma in Trentino non lo è.
Il dibattito rilanciato oggi conferma come molti dirigenti scolastici e moltissimi professori chiedono a gran voce la revisione di un sistema che pare consolidare i debiti, piuttosto che le competenze e le conoscenze. Certo la risposta non può limitarsi a immaginare una scuola popolata da docenti che come giudici interrogano–correggono, quindi certificano mancanze. Una scuola del genere, di stampo gentiliano, è comunque una scuola che cristallizzando le differenze, trasforma il privilegio in merito. Esclude dalla possibilità di raggiungere i livelli più alti dell’istruzione le persone «prive di mezzi». Una scuola che non riesce a trasformarsi in ascensore sociale è una scuola che perde la sua ragione di esistere. La scuola generalista, trappola pedagogica, fa il paio con la scuola novecentesca della selezione. Due facce di una medesima medaglia: quella della iniquità. La scuola che vogliamo, pubblica a carattere statale, è quella che dà risposte a ciascuno dei nostri ragazzi: è di tutti e per ciascuno. Un’istituzione che riesce a lavorare con una didattica individualizzata (strade diverse per raggiungere obiettivi comuni) e personalizzata (strade convergenti e divergenti per raggiungere obiettivi formativi personali). La vera sfida è quella di impegnarci tutti affinché i capaci e i meritevoli non abbandonino: serve però un impegno politico ma pure un impegno formativo e didattico da parte di dirigenti, docenti, allievi e famiglie. Ripartiamo dal lavoro d’aula: utilizziamo tutte le nostre ore a disposizione per costruire belle lezioni. Siano ripristinati, nel corso dell’anno scolastico, percorsi di recupero, finestre-sportelli formativi: affianchiamo e sosteniamo didatticamente i nostri allievi. Al termine delle lezioni, qualora permangano conoscenze e competenze da consolidare, si offra un’ulteriore possibilità «riparatrice». Così va a compimento la funzione costituzionale della scuola della Repubblica.

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