20 giugno 2017 – Corriere del Trentino

L’ACCUSA

I segretari di Cgil, Cisl e Uil puntano l’indice contro la scarsa capacità di reagire delle aziende trentine

Sindacati concordi: «Poca qualità dalle imprese Saremo più fermi nel chiedere aumenti salariali»

 

Puntano il dito contro gli imprenditori i sindacalisti del Trentino Franco Ianeselli (Cgil) Lorenzo Pomini (Cisl) e Walter Alotti (Uil), tutti concordi nel sostenere che questi ultimi dieci anni hanno fatto male — e tanto — alla provincia, anche a causa di un’imprenditoria che ha «perso il suo smalto».

Se la disoccupazione è passata dal 3,1% del 2006 al 6,8% del 2016 e tra i giovani il 24,2% è senza lavoro, la ragione non si troverebbe solo nelle cattive performance congiunturali, a livello nazionale ed europeo. Ad aver sbagliato sarebbero state anche le imprese, pronte a tutelarsi davanti alla crisi abbassando il livello qualitativo dell’offerta occupazionale. Questo nonostante i sostegni e gli incentivi incassati dalla Provincia Autonoma. «Gli imprenditori trentini dovrebbero farsi un bagno di umiltà: hanno ricevuto e stanno continuando a ricevere molto in termini di agevolazioni fiscali da parte della Provincia, ma questi aiuti non sono ripagati come dovrebbero» affonda Walter Alotti. Bene, invece, le operazioni avviate dai Bim e da alcuni Comuni, come Rovereto, per favorire le assunzioni a tempo determinato: «Strumenti che prima erano paragonabili al Progettone e che ora invece riescono a dare sempre più spazio anche a figure professionali, come tecnici e impiegati» spiega il segretario della Uil.

Critico nei confronti delle imprese è anche il collega Franco Ianeselli: «Se fino a oggi abbiamo lavorato per contenere le perdite e siamo stati fautori di quella dinamica adattiva che ha consentito al Trentino di non crollare sotto la scure della grande crisi, da ora in poi saremo più fermi e insisteremo nel chiedere contratti migliori e aumenti salariali, strumenti indispensabili per spingere la crescita». Insomma, l’obiettivo del Trentino non deve essere esclusivamente quello di incensarsi e riconoscersi come migliore rispetto al resto d’Italia, ma prendere esempio dal vicinissimo Alto Adige per darsi una spinta in più. «Stiamo lavorando molto per l’innovazione nel campo del welfare e gli stessi social bond proposti dal presidente dell’Agenzia per il lavoro, Riccardo Salomone, potrebbero essere degli ottimi strumenti. Dobbiamo tenere a mente — avverte infatti il numero uno della Cgil locale — che una società come la nostra, incapace di crescere, a lungo andare, potrebbe perdere anche la sua tradizionale coesione. E questo non possiamo permettercelo».

Sul fronte Cisl, anche il segretario trentino Lorenzo Pomini non fa sconti: «La crisi dell’edilizia era, in un certo senso, preannunciata: l’incredibile speculazione degli scorsi decenni tra immobiliare e costruzioni ha portato alla frana odierna. E difficilmente il settore riuscirà a riprendersi, se non solo attraverso le ristrutturazioni e le riqualificazioni energetiche». Ma è in generale tutto il tessuto imprenditoriale trentino a essersi lasciato eccessivamente «cullare» dalla Provincia: «Il grande piano di aiuti del 2009– 2010 non ha portato le aziende a produrre nuova occupazione. La causa? Si è abbassata la qualità degli imprenditori. Mentre no, noi sindacati non abbiamo nulla da rimproverarci» afferma Pomini.

In questi anni, insomma, le sigle sindacali sono convinte di aver fatto il massimo per mettere un freno agli aspetti più crudi della crisi. Adesso, però, è il tempo delle «responsabilità comuni» e di una «nuova contrattazione aziendale», specie rispetto a quella «generazione tradita» rappresentata dagli under 24 (con una buona fetta anche di under 30) rimasti ai margini del mercato del lavoro, con poche occasioni professionali per quantità e qualità. «È un paradosso, specie considerando quanto il Trentino investe in ricerca. Cosa che — affermano i tre segretari provinciali — dobbiamo continua a fare, ma lavorando di più affinché tali sforzi generino uno sviluppo economico sul territorio». Ovvero, lavoro ad alta qualificazione. Obiettivo questo da perseguire anche con la formazione permanente, responsabilità troppo spesso sottovalutata da quelle stesse imprese che poi chiedono «massima specializzazione» ai loro operai. «Il bicchiere — conclude Alotti — potrebbe essere mezzo pieno, ma solo se anche le imprese si rimettono in gioco e tornano a investire nella buona occupazione». E quanto ai social bond, giudizio positivo anche da parte sua: «Molto interessante l’idea di renderli disponibili anche per Enti e Fondazioni. Alle realtà del credito, però, aggiungerei anche quelle religiose visto che questo strumento si basa proprio su un saldo principio di solidarietà».

Scarica il pdf: imprese ART 200617