Il T – Venerdì 1 Agosto 2025
«Imprese e occupazione in balìa del ricatto di Trump»
I sindacati | L’allarme di Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm: «Siamo preoccupati, effetti difficili da quantificare. L’Europa punti sul mercato interno»
Export Usa
Non sono solo gli imprenditori del vino e del settore manifatturiero a guardare con attenzione al fronte americano, anche i sindacati del settore metalmeccanico sono fortemente preoccupati dai dazi di Trump. Il quadro non è ancora definito e si aspetta prima di tracciare un giudizio definitivo ma il clima di incertezza non lascia di certo ben sperare e le prime impressioni non sono delle migliori.
Il primo a parlare è Paolo Cagol, segretario della Fim, sezione dei metalmeccanici della Cisl: «Pare si sia trovato l’accordo con i dazi generali al 15% e alcuni settori, come l’acciaio impattati più pesantemente. L’effetto si vedrà nel tempo. La situazione iniziale del commercio verso l’America senza i vari dazi, era di un differenziale quasi nullo, al di sotto del 5%, un rincaro anche solo del 10% ha effetti pesanti. Per cui si tratta di un patto non irrilevante, per non parlare del 50% sull’acciaio».
Al momento, però, la situazione non è ancora chiara: «Vediamo se la cosa è definitiva, da tempo i dazi generano preoccupazione, quantomeno ora sembra si sia trovata una quadra. Credo che il presidente di Confindustria Delladio abbia fatto delle dichiarazioni intelligenti. Questa è la situazione e sull’accordo trovato bisognerà ragionare».
Dopo di lui tocca a Willy Moser, segretario della Uilm esprimersi sul punto: «Quello dell’acciaio è un mercato molto soggetto a dinamiche internazionali, già qualche anno fa c’era stata la cassa integrazione alle acciaierie di Borgo e in altre aziende del settore. Poi c’è la Cina che acquistato molto acciaio e probabilmente ora venderà molto in Europa, diciamo che il discorso dei dazi è un ulteriore problema che si aggiunge a uno scenario già problematico».
L’ultimo a prendere la parola è Michele Guarda, segretario della Fiom Cgil: «Non c’è ancora un testo definitivo di quell’accordo, per capire meglio serve un documento. I dazi si sommano al cambio, perché da un po’ di tempo con l’apprezzamento dell’euro rispetto al dollaro, le merci europee costano di più agli americani ed è come se ci fosse un dazio ulteriore», osserva.
Detto ciò, secondo il sindacalista «è impossibile quantificare gli effetti al momento, magari non si vende negli Usa ma si è fornitori di aziende tedesche che vendono negli Usa e il calo della domanda si riverbera sui dazi. Questo tipo di misure hanno un effetto di freno dello sviluppo e della crescita, ci possono essere impatti sul Pil e impatti occupazionali».
Quello che preoccupa di più, però, sembra essere la resa dell’Unione europea: «A livello nazionale la Fiom si è espressa in modo fortemente contrario al patto. Ci siamo fatti mettere un po’ sotto ricatto, qualcuno ha detto ci siamo fatti umiliare. L’Europa deve pensare di rendersi indipendente dai ricatti esterni. Bisogna impegnarsi a cercare altri mercati, primo fra tutti quello europeo, cosa che era anche nell’agenda Draghi. L’Europa è un continente gigantesco, la nostra debolezza sta nella divisione. Anche la rinuncia a tassare le Big tech americane, che fanno fatturato raccogliendo dati degli europei, è stata una scelta disastrosa».
Difficile, come detto, dare un valore degli impatti ma la sensazione è che i dazi abbiano già avuto delle conseguenze sull’economia trentina, a cominciare dalla vicenda di Dana: «Nessuno sa niente di preciso ma anche su Dana i dazi possono aver influenzato alcune scelte fatte, con il tema dei clienti americani che pretendono di avere fornitori nel continente per ridurre rischi. L’impatto c’è, è inutile nasconderselo, noi siamo preoccupati».
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