Il T, Corriere del Trentino – Mercoledì 3 Settembre 2025
A Trento affitti insostenibili per 1.100 nuclei
Sindacati e Acli: i 2,4 milioni di Imis all’emergenza casa
ECONOMIA
A Trento quest’anno 997 nuclei familiari a basso reddito, cioè con i requisiti per la casa Itea, hanno ottenuto il contributo all’affitto pagato sul libero mercato: da 185 a 210 euro al mese per dodici mesi. Nell’ultimo bando per 7 alloggi a canone moderato – cioè più basso del 30% di quello di mercato – hanno fatto domanda in 124, diciassette volte il numero di appartamenti disponibili. Almeno 1.100 nuclei quindi, il 7% dei 16.000 circa che vivono in affitto in città, pagano un canone più alto di quanto possano permettersi, senza contare quelli che la casa non la trovano proprio. Gli inquilini con canone concordato sono invece 3.700, come emerso in commissione comunale bilancio l’altro ieri, ma gli affitti di questo tipo di contratto in cui i proprietari sono agevolati in termini di Imis – 2,4 milioni di euro in meno per le casse del Comune – non risultano molto diversi da quelli di mercato (Il T di ieri). Perciò Cgil, Cisl, Uil, con i sindacati degli inquilini Sunia, Sicet e Uniat, e le Acli si dicono disposti ad accettare una revisione dello sconto Imis a patto che le risorse restino sul capitolo casa per fronteggiare l’emergenza affitti. «Sul canone concordato nel Comune di Trento avevamo già aperto un primo confronto con l’amministrazione comunale in occasione del rinnovo dell’Accordo territoriale a fine 2024 – affermano Manuela Faggioni (Cgil), Michele Bezzi (Cisl), Walter Largher (Uil) e Cristian Bosio (Acli) – Lo strumento non ha prodotto l’effetto moltiplicatore sugli alloggi in locazione, ma avevamo segnalato fin da subito alcune criticità: uno sconto Imis senza differenziazione tra grandi e piccoli proprietari ha avuto, come ampiamente previsto, l’effetto di un contributo a pioggia. Questo intervento doveva sollecitare la messa a disposizione sul mercato di immobili sfitti, doveva portare a nuovi contratti a canone concordato e doveva essere limitato ai piccoli proprietari che avrebbero dovuto ridurre l’affitto in misura pari al risparmio Imis». «L’effetto invece – proseguono sindacati e Acli – si è ridotto alla sostituzione dei contratti di locazione a prezzo di mercato con altri di pari importo a canone concordato. La misura dunque non ha generato la leva sperata, piuttosto si è generato un diffuso risparmio per i proprietari». «Detto ciò siamo da anni di fronte ad una grave emergenza abitativa che non accenna a regredire; per questa ragione se il Consiglio comunale decidesse di rivedere lo sconto Imis, che oggi incentiva i proprietari di immobili ad applicare il canone concordato, chiediamo che quelle risorse, cioè 2,4 milioni di euro, restino comunque destinate alle famiglie che cercano un alloggio in affitto sul libero mercato e sono in difficoltà. Sulle modalità siamo pronti a confrontarci con Palazzo Thun appena possibile». Faggioni, Bezzi, Largher e Bosio rivendicano in ogni caso l’utilità dello strumento canone concordato «che ad oggi resta tra i pochi per cercare di abbattere i canoni d’affitto e incentivare le locazioni. Di fatto oggi i Comuni del Trentino non hanno messo in atto misure particolarmente significative sul piano fiscale per calmierare gli affitti. Una strada complicata anche sul piano normativo, ma ci sono amministrazioni in Italia che lo hanno fatto e chiediamo qualche segnale di coraggio anche nel nostro territorio». Restano i limiti. «Oggi il proprietario che affitta con questo strumento ha diritto ad uno sconto fiscale dell’11% sulla tassazione. È troppo poco rispetto ai margini di profitto del mercato libero e inoltre la tassazione è identica sia per il piccolo proprietario sia per lo speculatore che affitta decine e decine di appartamenti». Inoltre le zone del Trentino, e dunque gli appartamenti, sono state classificate tutte in fascia alta. Di conseguenza c’è una differenza ridotta con il canone di mercato. «Siamo impegnati al tavolo di confronto con i rappresentati dei proprietari per migliorare lo strumento – concludono sindacati e Acli – Abbiamo iniziato una raccolta dati che consentirà di tararlo meglio».
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