Il T – Venerdì 10 Ottobre 2025

L’intelligenza artificiale migliora produttività e ricerca di personale

 

Proto (Ocse): «Con l’Ai più utili e si lavora meno»

ECONOMIA

L’intelligenza artificiale può mettere a rischio alcune professioni ma potrà anche far crescere la produttività e addirittura dimezzare i tempi di lavoro. Per recepire il cambiamento, però, si deve investire sulla formazione, puntando di più su pensiero critico e competenze manageriali, a discapito di quelle analitiche. Questa, almeno, è l’analisi di Alessandra Proto, direttrice del Centro trentino Ocse, che nei giorni scorsi agli attivi unitari di Cgil, Cisl e Uil ha illustrato le analisi condotte su salari e produttività. Da queste analisi è emerso anche che oltre il 40% dei posti lavoro in Trentino sarebbe «vulnerabile» all’intelligenza artificiale. O meglio che più del 40% dei lavoratori trentini potrebbe vedere alcune mansioni accelerate o sostituite dall’Ai.

Direttrice Proto, a cosa si deve quest’alta incidenza e cosa comporta? «L’intelligenza artificiale, soprattutto generativa, ha un impatto eterogeneo, non solo a livello settoriale ma anche geografico. Tra un Paese e l’altro ci sono valori che oscillano tra il 16 e il 70%. Secondo le nostre stime, circa un quarto dei lavoratori nei Paesi Ocse ha almeno il 20% delle proprie mansioni accelerabili del 50%. Il che vuol dire che con l’aiuto dell’Ai si potrebbero fare gli stessi lavori nella metà del tempo. Io non voglio, però parlare di sostituzione, perché credo che queste nuove tecnologie si possano integrare con il lavoro umano. Ad oggi non c’è evidenza del fatto che le imprese sostituiscano persone con l’Ai».

Fatta questa premessa, quali sono le professioni più esposte al cambiamento? «Il cambiamento, in questo caso, tocca di più il personale ad alta qualifica e le donne. In passato l’automazione riguardava di più uomini e lavori low skill, o di fatica fisica, come quelli in fabbrica. In questo caso, invece riguarda più i lavori di tipo cognitivo, che in alcuni casi sono svolti in misura maggiore da donne, penso a segretarie e assistenti, ma anche traduttrici e personale amministrativo. C’è anche una maggiore esposizione tra i laureati e sembra che ci sia un calo per i profili entry level, ossia quelli che hanno meno esperienza, limitatamente al mondo dei servizi».

E come mai il Trentino è più esposto di altre regioni? «La quota di lavoratori esposti, in realtà è simile a quella delle regioni vicine, che però sono più esposte al rischio di automatizzazione. Questo perché noi abbiamo meno imprese che si dedicano alla manifattura e più imprese attive nel mondo dei servizi. La manifattura è più investita dall’automatizzazione, i servizi sono più interessati dalla transizione digitale e dall’avvento delle intelligenze artificiali generative».

Come si contiene il rischio per i lavoratori, bisogna investire di più sulla formazione? «C’è bisogno di investire in formazione non solo su come utilizzare le intelligenze artificiali ma anche su come poter gestire il mondo del lavoro che le interessa. Il rischio è non avere le competenze sufficienti per superare lo scalino rappresentato dall’Ai generativa. Serviranno meno analisti e più persone con competenze manageriali. Le imprese dovranno investire sulla formazione interna ma anche il pubblico può aiutare e in questo il Trentino ha un tessuto molto favorevole con Università e centri di ricerca come Fbk».

Col cambiamento di competenze richieste, servirà cambiare anche il modello di formazione universitario e scolastico? «Quello sulla qualità della formazione è un tema delicato, la formazione oggi è sempre più sofisticata e sono richieste conoscenze di livello sempre più alto. Abbiamo, come Italia e anche come Trentino, una quota di laureati minore rispetto alla media europea e sul tipo di laureati le competenze Stem sono utili, ma non ci si può fermare, servono managerialità, come dicevo e la cosa più importante di tutte è insegnare a pensare e farlo in maniera critica. La capacità di processare è più facilmente acquisibile da una macchina».

Quali sono, invece, i vantaggi che l’economia trentina potrebbe trarre dall’intelligenza artificiale? «Si stima che nel prossimo decennio l’Ai porterà una crescita di produttività tra lo 0,4 e lo 0,9%. Non sarà uguale ovunque, il massimo si avrà nella finanza e nell’information technology, il minimo in agricoltura, ma chi riuscirà a cogliere e massimizzare questa crescita, avrà un vantaggio di competitività. Inoltre, se gestita in maniera oculata l’intelligenza artificiale può aiutare a colmare il mismatch e la carenza di manodopera, sia svolgendo alcune mansioni che aiutando a trovare i profili desiderati. Si stima che già solo con il telelavoro, introducendo due giorni di smart working, il mercato del lavoro si quadruplichi, l’Ai può dare una mano in più. Senza contare i benefici in termini di inclusione».

Ossia? «L’intelligenza artificiale può offrire lavori diversi anche a categorie prima escluse, come le persone con disabilità o anche agli stranieri immigrati che non hanno competenze linguistiche ma magari ne hanno altre richieste dal mercato del lavoro e che ora con l’aiuto dell’Ai potrebbero trovare accesso a posizioni lavorative migliori di quelle attuali».

Cambieranno anche i contratti? «Non ci sono evidenze a riguardo ma alcuni studi mostrano che i lavoratori che utilizzano l’Ai sono più soddisfatti perché eliminano le task routinarie e burocratiche e hanno più tempo da dedicare a cose che lasciano più gratificazione. La soddisfazione è un elemento di produttività e imprese più produttive offriranno anche un salario più alto».

 

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IL T Ocse ART 101025