A giugno inflazione in Trentino al 5,7 per cento. Sindacati: trend da consolidare nei prossimi mesi. Urgente adeguare le misure di welfare e rinnovare i contratti

Rallenta la corsa dell’inflazione in Trentino. A giugno i prezzi sono saliti in provincia del 5,7 per cento rispetto al 6,5 del mese precedente. Sembra dunque consolidarsi un primo segnale di raffreddamento. Il dato trentino inoltre si colloca al di sotto della media nazionale, che si attesta al 6,4 per cento.

La decelerazione è influenza soprattutto dal rallentamento dei prezzi energetici, mentre i prodotti alimentari restano stabili rispetto al mese precedente. A livello nazionale sono le spese per servizi ricettivi e ristorazione a segnare la voce di incremento più elevata tra maggio e giugno, cioè +1,3%.

In un anno comunque i beni alimentari sono cresciuti dell’11%, del 10% le spese per acqua, elettricità e combustibili, del 7,6 per i servizi ricettivi e la ristorazione. Gli aumenti del carrello della spesa, dunque, pesano ancora pesantemente sul reddito delle famiglie, anche perché non evitabili. E comunque la media annua mobile dell’inflazione è dell’8,9%.

In questo quadro Cgil Cisl Uil, pur giudicando positivi i segnali di rallentamento, mettono l’accento sull’impoverimento delle famiglie, che è ormai un dato di fatto. “Il rallentamento è una buona notizia, ma non risolve l’erosione del potere d’acquisto subito dai lavoratori e dalle lavoratrici”, dicono Andrea Grosselli, Michele Bezzi e Walter Alotti che anche per questa ragione hanno giudicato insoddisfacenti e inadeguate le misure previste dalla Giunta con l’assestamento di bilancio. “Non ci sono risposte sul fronte dell’adeguamento strutturale delle misure di welfare per i nuclei con figli, visto che l’assegno unico provinciale non cresce e dunque non recupera l’inflazione, così come mancano risposte sulle politiche per la casa, altra spesa che incide pesantemente sui redditi familiari”.

Allo stesso tempo gli stipendi sono bassi, a causa dei mancati rinnovi contrattuali. “In Trentino il 60% dei dipendenti ha un contratto scaduto, nazionale o provinciale. “In molti settori le imprese si sono difese dall’inflazione ritoccando verso l’alto i listini, come dimostrano anche i dati su ricettivo e ristorazione. In questo modo hanno scaricato gli aumenti sui consumatori, aumentando redditività, ma senza redistribuire sui propri dipendenti. Vale nel privato e vale anche nel pubblico dove 38mila lavoratrici e lavoratori attendono il rinnovo contrattuale e auspichiamo che nell’incontro di domani arrivino risposte concrete. Restiamo convinti che la politica sia a livello locale sia a livello nazionale debba fare di tutto per favorire i tavoli di confronto e arrivare nei tempi giusti ai rinnovi contrattuali. Le vertenze aperte in questo momento in Trentino, dal porfido agli operai forestali, dimostrano il contrario”.