Comunicato Stampa Uil Trentino- di Walter Alotti

 

Alloggi Itea – le ragioni di inefficacia delle ipotizzate nuove regole di accesso per i cittadini residenti non italiani che la giunta Fugatti vuole introdurre. Per la Uil la soluzione dell’”abitare” in affitto sta piuttosto nel reperimento ed assegnazione dei tanti alloggi sfitti e nella riassegnazione delle tante abitazioni o complessi residenziali da ristrutturare ( es. “Palafitte” S.Bartolomeo – “Nave” S.PioX).

 

Dopo la stretta sull’”accoglienza” di profughi e immigrati, la sospensione dei corsi sull’educazione di genere nelle scuole trentine e quella della solidarietà internazionale, oltre alla proposta di “militarizzazione” del centro di Trento, l’altro provvedimento bandiera che la giunta Fugatti ha già preannunciato e che probabilmente sarà adottato a breve riguarderà l’edilizia pubblica sociale. Come già in altre regioni si pensa di contenere la quota di case popolari assegnate agli stranieri innalzando i requisiti di residenza anagrafica, addirittura per 10 anni, ed assenza di altre proprietà. In realtà l’efficacia della prima misura è dubbia, mentre per la seconda è assai complesso da verificare.

Requisiti di residenza più rigidi.

Partendo dal presupposto che la Corte costituzionale ha già censurato – con la sentenza n. 106 del 24 maggio 2018 e, prima, con quella 168 del 2014 – i tentativi di alcune regioni di inasprire, per i soli cittadini di stati extra Ue, le condizioni da superare per accedere alle case popolari, tante regioni italiane (in ultima sei mesi fa anche la “rossa” Emilia-Romagna) hanno reso più difficile, per tutti i richiedenti alloggio, ma mai oltre i 5 anni, soddisfare i due requisiti necessari per concorrere ai bandi per l’assegnazione degli alloggi pubblici: la residenza anagrafica e l’assenza di altre proprietà. Così facendo essi non costituiscono una “forma dissimulata di discriminazione” nei confronti di nessuno. In realtà l’obiettivo è quello di contenere la quota di alloggi assegnata con ogni bando agli stranieri, cioè a cittadini europei non italiani e di quelli extra comunitari, esterni all’Unione europea. Tutto evidentemente in funzione dello slogan elettorale sovranista e non: “la casa popolare prima agli italiani” ovvero “Casa ITEA prima ai trentini” slogan che avvince politicamente, ma non produce poi grandi effetti reali sull’assegnazione di abitazioni a canone sociale agli “italiani”.

Dalla tabella 1 allegata – fonte sito “lavoce.info”- si può osservare che sono diverse le regioni ove è necessario avere maturato una anzianità di residenza maggiore che in Trentino per concorrere ai bandi per l’assegnazione degli alloggi popolari. Ma l’efficacia dell’anzianità di residenza per spostare a favore degli italiani e dei trentini il baricentro della composizione delle liste di attesa degli assegnatari, prima, e delle assegnazioni delle case popolari, poi, è destinata inevitabilmente a ridursi in poco tempo. Sono poco efficaci gli effetti anche di un periodo non breve. Infatti, indipendentemente dal numero di mesi o di anni che devono trascorrere per raggiungere il requisito, la sua efficacia massima si produce solo nel periodo immediatamente successivo alla sua assunzione da parte della regione. In seguito, il flusso degli immigrati che potrà presentare la domanda per l’alloggio popolare si avvicinerà sempre più alla consistenza che aveva in precedenza, poiché con il trascorrere del tempo aumenterà l’anzianità di residenza di una quota crescente di stranieri.

Tabella 1 – Verifica del requisito della residenza per concorrere ai bandi di assegnazione degli alloggi

 

Verifica della proprietà all’estero.                                                                                                    Chi poi fosse già proprietario di una casa adeguata alle esigenze della sua famiglia o di un diritto d’usufrutto, d’uso o di abitazione su di essa, non può concorrere all’assegnazione di un alloggio pubblico. Nella maggioranza delle regioni il requisito di non possedere un alloggio deve essere soddisfatto al massimo entro i confini italiani, come si può verificare nella tabella 2 allegata – fonte sito “lavoce.info” – Alcune regioni, però, Emilia Romagna e Toscana comprese, hanno esteso all’estero questa verifica, con la speranza che ciò possa allentare la pressione degli stranieri sulle assegnazioni. Naturalmente, la motivazione addotta per l’allargamento dei confini è di principio: gli stranieri devono essere assoggettati agli stessi vincoli degli italiani. Ma l’efficacia della scelta dipende da due fattori.

Il primo motivo è dato dal fatto che molti dei paesi extra comunitari da cui arrivano gli stranieri non hanno un catasto o altri sistemi di registrazione delle proprietà immobiliari, per cui diventa impossibile verificare le dichiarazioni rese dai presentatori richiesta. In secondo, ammesso che si riesca ad accertare che uno straniero è proprietario di una casa nel suo paese, la sua adeguatezza deve essere valutata con lo standard di quel paese oppure con quello previsto dalla normativa trentina?

Ed in quel caso sarà molto probabile che aver esteso al paese d’origine dello straniero l’area di verifica sul requisito di non possedere altri alloggi non produca poi effetti apprezzabili.

Tabella n.2 – Estensione ambiti territoriali dei controlli

Dall’ultimo Bilancio Sociale Itea 2017 risulta la presenza di 567 nuclei assegnatari stranieri “extracomunitari” (5,6%) e 273 nuclei comunitari non italiani (2,8%) su 9.782 famiglie di inquilini totali, mentre sono 3.492 i nuclei di adulti sopra i 65 anni (35,7)% . Quindi anche sommandoli , il totale degli stranieri si attesta sull’8,6 per cento del totale, di fatto in linea con l’incidenza degli stranieri residenti oggi in Italia (8,3 per cento). L’allarme sulle presenze straniere nelle case pubbliche appare quindi fortemente esagerato, con chiare motivazioni politiche.

E in una provincia con migliaia di alloggi sfitti la soluzione non può essere quella di nuove costruzioni, ma va ricercata in accordi tra comuni, Itea, sindacati dei lavoratori e associazioni di costruttori per permettere di ampliare il patrimonio di alloggi popolari, a costi non proibitivi, partendo da quelli già esistenti e ampliando le agevolazioni fiscali per i contratti a canone concordato e soprattutto moderato.Per contro, anche in Trentino verifichiamo due incontrovertibili fatti: a) quella per la casa è una delle politiche più trascurate negli ultimi anni; b) considerando l’intero patrimonio, la percentuale delle case popolari assegnate a famiglie italiane è nettamente maggioritaria.
È difficile però che le due affermazioni riescano a erodere il consenso che la Lega ed i suoi alleati politici possono coagulare sulla parola d’ordine “le case popolari prima ai trentini”.
Il patrimonio di alloggi di proprietà pubblica è sicuramente inferiore al fabbisogno. Sarebbe pertanto auspicabile promuovere gli investimenti necessari per accrescere in modo consistente il numero delle case popolari con la realizzazione di nuovi alloggi, ma anche destinando risorse più consistenti al recupero di tutte quelle abitazioni che non possono essere assegnate a causa del cattivo stato di conservazione. Ma pur supponendo che ciò possa succedere, la composizione dei nuovi inquilini tra famiglie di immigrati e famiglie italiane non cambierebbe di molto se i criteri di formazione delle graduatorie rimangono quelli di oggi.

Quanto al fatto che nelle case popolari risiedano oggi molte più famiglie italiane che immigrate, tralasciando l’incongruenza metodologica di confrontare un dato di flusso con uno di stock, è una constatazione che interessa ben poco alle persone in attesa dell’assegnazione. Per chi aspetta una casa non conta il passato, ma ciò che succede oggi e che succederà domani: sempre più immigrati “portano via la casa” agli italiani. Peraltro, l’argomento della prevalenza delle famiglie italiane nello stock di alloggi è destinato a perdere vigore con l’aumento della velocità di ricambio degli assegnatari, che sarà più elevata in Trentino poichè più alta la percentuale degli attuali inquilini molto avanti con l’età o dove si è deciso di accelerare il turn over, per esempio abbassando i livelli dei parametri da cui dipende la permanenza nell’alloggio.

Potrebbe allora rivelarsi più utile un’operazione di chiarificazione politica: affermare esplicitamente che la possibilità per gli immigrati di concorrere all’assegnazione degli alloggi pubblici è, al pari della copertura delle altre prestazioni dello stato sociale, una componente delle politiche di welfare che hanno anche finalità di integrazione di coloro che vivono legalmente nel nostro paese. Immaginiamo lo scarso consenso che potrebbe suscitare questa operazione, ma andrebbe alla radice del problema; e sfiderebbe quelle forze conservatrici che non si dicono contrarie all’integrazione degli immigrati regolari a dire se l’assegnazione delle case popolari è o no uno strumento di quell’integrazione.

Scarica il pdf: Alloggi Itea – nuove, inefficaci regole di accesso per cittadini residenti non italiani