07 maggio 2019 – Corriere del Trentino

Casa pubblica ed emergenza affitto. Valorizzare il costruito evitando demagogie

Finora la giunta Fugatti e l’assessora Segnana hanno affrontato la questione casa pubblica e l’emergenza affitto, particolarmente grave oggi nel capoluogo e nella zona della «busa del Garda», concentrandosi solo sugli aspetti relativi alla «sicurezza». Un tema certamente più elettorale che amministrativo, visto l’avvicinarsi del doppio appuntamento europeo e parlamentare di maggio alle urne, cavallo validissimo per la propaganda, ma certo di non grande aiuto nell’affrontare appunto i problemi delle politiche abitative anche trentine. Si è annunciata la stretta sulla regola di accesso agli alloggi pubblici per i cittadini non italiani, che si vorrebbe allungare fino addirittura a 10 anni di residenza, requisito irragionevole che molto difficilmente supererà, se adottato, il contenzioso giuridico che ne scaturirà, alla luce dei già diversi pronunciamenti avversi della Corte Costituzionale. Ha ragione il vicesindaco di Trento, Mariachiara Franzoia, sull’inutilità di quel provvedimento che la Uil, da quando Fugatti ha cominciato ad annunciarlo, ritiene incostituzionale e punitivo per le persone, anche trentine. Peraltro come fa notare l’assessora comunale, il totale degli stranieri si attesta sull’8,6 % del totale, di fatto in linea con l’incidenza degli stranieri residenti oggi in Italia (8,3%). L’allarme sulle presenze straniere nelle case pubbliche appare quindi fortemente esagerato, con chiare motivazioni politiche.
In una provincia con migliaia di alloggi sfitti la soluzione non può essere quella di nuove costruzioni, ma va ricercata in accordi tra Comuni, Itea, sindacati dei lavoratori e associazioni di costruttori per permettere di ampliare il patrimonio di alloggi popolari, a costi non proibitivi, partendo da quelli già esistenti e allargando le agevolazioni fiscali per i contratti a canone concordato e soprattutto moderato. Per contro, anche in Trentino verifichiamo due espliciti fatti: quella per la casa è una delle politiche più trascurate negli ultimi anni; considerando l’intero patrimonio, la percentuale delle case popolari assegnate a famiglie italiane è nettamente maggioritaria. È difficile però che le due affermazioni riescano a erodere il consenso che la Lega e i suoi alleati politici possono costruire usufruendo della parola d’ordine «le case popolari prima ai trentini».
Il patrimonio di alloggi pubblici è sicuramente inferiore al fabbisogno. Sarebbe pertanto auspicabile promuovere gli investimenti necessari per accrescere in modo consistente il numero delle case popolari con la realizzazione di nuovi alloggi, ma anche destinando maggiori risorse al recupero di tutte quelle abitazioni che non possono essere
assegnate a causa del cattivo stato di conservazione. Ma pur supponendo che ciò possa succedere, la composizione dei nuovi inquilini tra famiglie di immigrati e famiglie italiane non cambierebbe di molto se i criteri di formazione delle graduatorie dovessero rimanere quelli di oggi. Potrebbe per la Uil piuttosto rivelarsi più utile un’operazione di chiarificazione politica: affermare esplicitamente che la possibilità per gli immigrati di concorrere all’assegnazione degli alloggi pubblici è, al pari della copertura delle altre prestazioni dello stato sociale, una componente delle politiche di welfare che hanno anche finalità di integrazione di coloro che vivono legalmente nel nostro Paese. Immaginiamo lo scarso consenso di una simile operazione, ma andrebbe alla radice del problema; e sfiderebbe quelle forze conservatrici che non si dicono contrarie all’integrazione degli immigrati regolari a dire se l’assegnazione delle case popolari è o no uno strumento di quell’integrazione.
Il sindacato ha più volte richiesto all’assessora Segnana un incontro e l’apertura di una discussione sull’edilizia pubblica sociale e sulla necessità di ripristinare, anche formalmente, la commissione sociale Itea. Il sistema e il bisogno abitativo sono molto cambiati; le mutate condizioni occupazionali e familiari dei lavoratori, che hanno sì bisogno di un’abitazione ma in affitto e non in proprietà, e l’esigenza che si rimetta in circolo il rilevante patrimonio privato abitativo «sfitto», inducono la Uil a porre l’accento sulla necessità di una riforma dell’edilizia pubblica e della «legge Dalmaso» in particolare, non più adeguata al cambio epocale subìto anche dalla società trentina.
Si proceda quindi a disegnare un nuovo piano casa coerente con il piano urbanistico provinciale. Ricordiamo alla politica e all’amministrazione che gran parte del patrimonio abitativo pubblico trentino è stato costruito con il contributo Gescal dei lavoratori trentini, oggi in parte pensionati, e delle imposte che i lavoratori dipendenti e pensionati hanno versato e continuano a versare, in misura predominante, rispetto anche alle altre categorie di contribuenti.

Scarica il pdf: casa ART 070519