16 gennaio 2018 – Corriere del Trentino

Gestione del bene acqua, molte ombre

Sono davvero interessanti e allo stesso tempo preoccupanti i dati relativi allo stato di salute della rete idrica trentina emersi da un approfondimento svolto dal Corriere del Trentino giovedì scorso e accompagnato dal commento pragmatico, assolutamente obiettivo e responsabile, del dirigente generale dell’Agenzia provinciale per le risorse idriche e l’energia, Fabio Berlanda. Certo, sapere che nel virtuoso trentino gli 850 acquedotti pubblici trentini perdano in media il 30 per cento della risorsa acqua, con punte che arrivano fino al 60 per cento, dovrebbe far sobbalzare sulle poltrone del Consiglio provinciale i nostri rappresentanti politici senza distinzione di casacca. Non è invece così: probabilmente, in questo momento sono troppo impegnati a seguire le imminenti campagne elettorali (nazionale e provinciale). Dal rubinetto delle loro case continua inoltre a sgorgare acqua potabile senza problemi, così come dai cannoni esce la preziosa neve a uso turistico e nelle centrali—finalmente di proprietà esclusiva trentina—si produce l’energia elettrica necessaria a ridurre la bolletta energetica provinciale. Una situazione in definitiva tranquilla, almeno in apparenza. Sarà allora la Uil—un sindacato confederale—a concentrarsi su simili dati chiedendo alle forze politiche, all’amministrazione provinciale, all’assessore Mauro Gilmozzi, sempre che non sia anch’egli impegnato in qualche campagna elettorale, quali siano i provvedimenti messi in atto per tutelare un settore industriale strategico come quello legato al servizio idrico integrato lungo l’intero ciclo della risorsa acqua. Un servizio possibilmente di massima qualità, a tariffe eque per tutti, con una forte programmazione, regolazione e controllo pubblico, che dovrebbe appunto prevedere il reinvestimento degli utili nello sviluppo delle strutture e nella manutenzione dello stesso sistema idrico provinciale. Un sistema che in Trentino è lasciato nelle mani di duecento gestori diversi—in gran parte Comuni—i quali in proprio, oppure affidandosi a municipalizzate locali o a società per azioni pubblico-private, gestiscono un simile patrimonio che nella nostra provincia significa anche ambiente, turismo, energia, agricoltura, allevamento. Sappiamo bene che è ancora in alto mare il destino sia dell’acquedotto di Trento sia di quello di Rovereto e dell’asta dell’Adige; sappiamo altrettanto bene, poi, che adesso inizieranno i valzer per capitalizzare e valorizzare le concessioni delle centrali elettriche (l’ultima finanziaria ha passato la gestione del comparto a Trento e Bolzano). Non possiamo tacere inoltre i silenzi o la sottovalutazione dell’Appa riguardo allo stato ecologico non propriamente irreprensibile in cui si trovano alcuni corsi d’acqua della val di Non per via dei fitofarmaci, o delle Giudicarie per l’invasività della zootecnia; per non parlare delle manovre relative alla costruzione di decine di bacini dedicati all’innevamento artificiale (finanziati con soldi pubblici), lasciando che oltre il 30 per cento della risorsa acqua vada sprecata per la scarsa inefficiente manutenzione e gestione di sorgenti, tubazioni e sistemi idraulici. Nell’ultima legge di bilancio di tali investimenti necessari non vi è traccia. Si parla di infrastrutture, tuttavia poco viene destinato alla primaria attività di rinnovo e sistemazione della rete idrica provinciale. Si è preferito continuare a elargire agevolazioni e contributi a chi, per fini turistico-agricoli e profitto privato, utilizzerà poi quella preziosa risorsa (l’acqua) piuttosto di sfruttare i finanziamenti pubblici per sistemare la rete di un bene comune per eccellenza. È ora di voltare pagina: per rispetto dell’ambiente e dei contribuenti, ma pure per evidenti ragioni culturali, politiche, economiche e di responsabilità nell’esercizio dell’autonomia del nostro Trentino.

Walter Alotti

Segretario Uil del Trentino

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