Il T – Mercoledì 30 Aprile 2025
Lavoro e disuguaglianze, serve un nuovo patto
Walter Largher: «Dobbiamo aiutare i giovani e non rassegnarci a un futuro di precarietà»
OPINIONE
Il Primo Maggio non è solo una celebrazione: è memoria, è impegno, ma soprattutto è sguardo verso il futuro. In un’epoca di profonde trasformazioni economiche, sociali e culturali, il mondo del lavoro non può essere relegato ai margini del dibattito pubblico. Deve tornare protagonista. E con esso le organizzazioni sindacali e le forme di rappresentanza collettiva: l’associazionismo civile, politico, sportivo, culturale, deve ritrovare la capacità di incidere sulle scelte politiche ed economiche, non come meri strumenti di difesa, ma come attori di cambiamento.
Viviamo in un tempo segnato da una rivoluzione permanente delle competenze. Dove un giovane può trovarsi a cambiare professione non più, come una volta, tre o quattro volte nella vita, ma ogni tre o quattro anni. Una generazione che si affaccia a un mondo sempre più competitivo, con un problema della casa che è diventato drammatico, soprattutto nelle zone ad alta vocazione turistica. Studenti che vivono in camere singole a 600 euro al mese, lavoratori e lavoratrici ormai adulti/e costretti/e a condividere appartamenti come in una comune involontaria. Imprese affamate di lavoratori e lavoratrici che offrono impieghi senza la possibilità di offrire alloggi ad un affitto equo perché sottratti dal turismo degli affitti brevi. Ci vuole un piano Marshall per la casa e ci vuole una diversa lettura del lavoro che le nuove generazioni interpretano in maniera diversa. Il sindacato ha di fronte a sé una sfida enorme nel lavoro che cambia e nelle aspettative di chi lavora che non sono legate esclusivamente alla giusta retribuzione, ma ad aspettative che guardano alla qualità della vita e del tempo libero. Il Trentino oggi non è in grado di leggere questi cambiamenti né di avanzare proposte innovative su larga scala.
I laureati – soprattutto nelle materie Stem scienza, tecnologia, ingegneria e matematica – preferiscono emigrare, malgrado la richiesta di questi laureati sia elevata anche nel nostro territorio, proprio perché le loro retribuzioni sono relativamente basse rispetto agli altri Paesi Ocse. La problematica è stata fonte di discussione e analisi nei recenti Stati Generali del Trentino dove è emerso che le facoltà presenti sul territorio risultano ai primi posti in Italia ma i laureati non trovano sul territorio imprese in grado di offrire posizioni coerenti con il percorso di studio. Un investimento quello dell’Università a beneficio sicuramente dei giovani che risiedono in provincia ma anche a beneficio dei Paesi europei che meglio sanno valorizzarli anche attraverso retribuzioni più adeguate.
Il Trentino ha, invece, un’incidenza più elevata di lavoratori a bassa retribuzione risultato di un turismo che negli ultimi anni è esploso e sul quale la Provincia non smette incoscientemente di investire. Ma il fenomeno della bassa retribuzione definisce un’area di vulnerabilità elevata, spesso perdurante e non transitoria, comportando basso potere di acquisto dei lavoratori e delle loro famiglie, difficoltà di inserimento sociale e precarie prospettive di lavoro presenti ma anche future. Per questo vanno implementate (anche se va detto Agenzia del lavoro sta facendo un ottimo lavoro ma spesso la risposta da parte delle imprese) politiche di attivazione per incrementarne il reddito, favorire la diffusione del part time volontario, favorire ed incrementare la partecipazione femminile al mercato del lavoro, fornitura di servizi di cura, flessibilità dell’orario, programmi di formazione o riqualificazione professionale, azioni mirate alla collocazione lavorativa delle persone, come l’orientamento e l’accompagnamento nella ricerca del lavoro potenziando le strutture pubbliche come i centri per l’impiego.
Anche in Trentino, come in molti altri Paesi, a una forte diseguaglianza si accompagna l’ereditarietà nelle posizioni economiche e sociali. Perché le famiglie con reddito più alto investono di più nel capitale umano dei figli. E perché hanno connessioni sociali che permettono l’accesso a occupazioni e retribuzioni migliori. Come scrive Maria De Paola (Centro Studi Inps): «In molti Paesi si riscontra una regolarità empirica, nota come curva del grande Gatsby, che associa a una maggiore disuguaglianza nella distribuzione del reddito una più alta probabilità che la posizione sociale in termini di reddito dei figli dipenda da quella dei genitori (elasticità intergenerazionale). In Italia a una forte diseguaglianza si accompagna una forte ereditarietà nelle posizioni economiche e sociali e una sorta di paracadute che protegge nella discesa sociale coloro che provengono da un ambiente familiare vantaggioso».
La responsabilità, oggi, è nostra. Nei confronti delle nuove generazioni, a cui dobbiamo non solo ascolto, ma soprattutto aiuto reciproco nel trovare risposte. Non possiamo permettere che la precarietà diventi la normalità. Non possiamo rassegnarci a un futuro di disuguaglianze crescenti, di diritti erosi, di speranze tradite. La conquista di un mondo del lavoro più giusto, più sicuro, più dignitoso non è un fatto del passato: è un obiettivo del presente. Per farlo servono scelte nette. Un patto che parli di pari opportunità, di redistribuzione del lavoro di cura, di libertà e dignità per tutti.
In questo quadro, l’Europa non può essere vista come un’entità distante, astratta, tecnocratica. L’Europa deve tornare a essere una comunità politica e sociale. Deve saper garantire diritti, costruire pace, offrire futuro. Deve agire davanti alle guerre – da Kiev a Gaza, dal Congo al Myanmar – con la freddezza della diplomazia e con l’urgenza dell’umanità. Il silenzio davanti all’orrore, come quello che si consuma negli ospedali bombardati di Gaza, ci interroga. Perché non c’è stata, in questo caso, la stessa mobilitazione civile vista in altri contesti? Perché la nostra coscienza collettiva sembra addormentata?
Oggi più che mai, serve ritrovare le forme dell’azione collettiva. Ricostruire spazi di partecipazione, capaci di dare voce a chi non ce l’ha. Valorizzare le differenze come risorsa, non come ostacolo. Il bisogno di confronto, di contaminazione culturale e sociale, di un’Europa dei popoli, rimane intatto. Anzi, si fa più urgente.
Walter Largher
Segretario Generale UIL del Trentino
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