3 novembre 2017 – Corriere del Trentino

Pensione alle casalinghe, sindacati critici

BOLZANO Al fondo pensione per le casalinghe, istituito nel 1993 dalla giunta regionale, i sindacati locali guardano, da sempre, con sospetto. «È bene pensare a una forma contributiva per le casalinghe — sostengono le parti sociali — ma questo non deve essere un incentivo a non lavorare. Comunque sia, adesso, gli impegni vanno rispettati».

Non ha destato quindi particolare sorpresa la notizia che l’Agenzia per lo sviluppo sociale ed economico (Asse) ha avviato un’indagine di mercato per valutare al sostenibilità del fondo nei prossimi 30 anni. «Forse i calcoli non sono stati fatti bene in partenza — commenta Alfred Ebner (Cgil) — forse bisognava intervenire prima. Quel che è certo è che la politica avrebbe dovuto coinvolgere la parti sociali». Certo, sostiene Ebner, il diritto alla contribuzione da parte delle iscritte al fondo c’è e va rispettato. «Le promesse vanno mantenute — aggiunge — evitando di far colare a picco il bilancio della Regione».

Incertezze sul meccanismo sono sollevate anche da Michele Buonerba (Cisl). «Il problema di questa tipologia di fondi è che stanno in piedi solo se c’è un numero sufficiente di contribuenti — spiega — Nel caso specifico il numero è diminuito in maniera inversamente proporzionale al tasso di occupazione femminile, che, in Alto Adige, supera il 60%». Un cambiamento preventivabile già al tempo dell’istituzione del fondo, secondo il segretario, «tanto che la Cisl si era dichiarata scettica fin dall’inizio. Non mi stupiscono le grosse difficoltà che si hanno adesso che è arrivato il momento di pagare. L’idea non stava in piedi allora, figuriamoci adesso».

A chiamarlo fondo pensione Toni Serafini (Uil) non ci sta. «Le pensioni vanno pagate a chi lavora, per gli altri si tratta di assistenza. Ma forse sarebbe meglio cercare strumenti diversi?». Non è una novità, prosegue Serafini, che le donne siano discriminate dal punto di vista contributivo. «E 1.500 euro all’anno versati per 15 anni non sono che briciole. La strada maestra è la creazione condizioni di lavoro per le donne, che permettano di regolare i ritmi vita-lavoro. Certo, rispetto a qualche decennio fa le cose sono migliorate molto, fra le coppie più giovani i compiti, in casa, sono suddivisi in maniera più equa, ma non basta». Per il segretario Uil, insomma, bisogna puntare a «pensioni vere. Bisogna sfruttare telelavoro e contratti part-time da 28-30 ore che garantiscano un salario dignitoso».

Sulla stessa linea i segretari trentini. Per Walter Alotti (Uil) i problemi sono molteplici, «a partire dal fatto che si sta parlando di una forma contributiva per persone che comunque non sarebbero andate a lavorare. Inoltre il sistema di calcolo non è adeguato: il fondo avrebbe dovuto stare in piedi da solo, mentre oggi è evidente che senza l’aiuto della Provincia sarebbe impensabile, a fronte di un numero di iscritti insufficiente». La proposta del segretario della Uil trentina è, quindi, la liquidazione, «senza che ci rimetta chi ha aderito al fondo, dal momento che lo ha pure sempre fatto rispettando i parametri. Bisognerebbe porre una soglia, ad esempio di una decina d’anni, oltre la quale smettere di erogare i contributi».

Anche per il collega della Cgil, Franco Ianeselli, non ci sono dubbi sul fatto che «gli impegni presi vadano mantenuti. Si tratta comunque di un caso che, retrospettivamente, fa riflettere: a volte vengono messe in campo politiche molto discutibili. Quando si adottano certe misure bisogna farlo realizzando tutte le proiezioni del caso, in modo da garantire che la sostenibilità ci sia». Assolutamente da bocciare, prosegue, le misure che incentivano chi non è sul mercato del lavoro a restarne fuori. «Bisognerebbe invece, incentivare a entrare e a restarci. Il che è ancora più significativo nei casi di persone che lavorano pur avendo famigliari da curare».

Nelle parole di Lorenzo Pomini (Cisl) il fondo per le casalinghe «è una bomba a orologeria per i conti della regione. Nel 1993 è stato inventato un fondo, di fatto, senza copertura e poi si è cercato di rivedere le regole. Aver chiuso tutto nel 2005 è stata una decisione responsabile». Ma il fatto che ci sia un buco non sanabile è evidente. «Ora bisogna cercare di evitare il peggio, tenendo su un piatto della bilancia le aspettative delle contribuenti e, sull’altro, la responsabilità nei confronti della comunità». Il fondo, spiega Pomini, è stato pensato soprattutto per le famiglie di contadini. «Ma è opportuno ricordare che la legislazione nazionale già li aiuta molto , sia dal punto di vista fiscale che da quello contributivo. Senza dimenticare le sovvenzioni provinciali». Certo, il discorso da fare sarebbe molto più ampio e riguarderebbe «l’intero sistema pensionistico italiano. Nel ricalcolo delle pensioni rispetto ai contributi effettivamente versati non ci sarebbe nulla di male».

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