Il T – 27 gennaio 2024

Picchetti (Uiltucs): «Persi 130 lavoratori, condizioni massacranti»

«La vera crisi che va avanti da anni nel commercio è quella del lavoro: nel tentativo di inseguire i grandi colossi si stanno massacrando in primo luogo le condizioni di lavoratori e lavoratrici». Così Stefano Picchetti, segretario del sindacato Uiltucs Trentino-Alto Adige, in risposta alle parole d’ordine di Confesercenti efficienza, progresso e digitalizzazione (su il T di venerdì). A commentare anche la funzionaria Alessia Tedeschi, che si occupa della grande distribuzione organizzata: «Se l’imprenditore lotta per mantenere aperta l’attività dovrebbe rivedere il suo piano di business, non tagliare i diritti di chi lavora non per lui, ma con lui — chiosa — Bisogna prestare attenzione anche all’utilizzo del termine “progresso”. Se è inteso come finalizzato ad aumentare i profitti e non a migliorare le condizioni di vita delle persone, allora ci sembra più un passo indietro che avanti. Con l’innovazione tecnologica possiamo sollevare chi lavora dai compiti più degradanti, ma al contrario stiamo vedendo che le aziende lo intendo più come un taglio diretto del personale e un accanimento nei confronti di quelli che invece rimangono in azienda a cui si chiede continuamente di fare supplementari e straordinari, non è certamente questo il futuro del lavoro 2.0 che vogliamo». Ad intervenire anche il funzionario Vassillios Bassios, che si occupa di cooperazione e commercio: «Parlare del costo del lavoro come se fosse qualcosa di accessorio all’attività di impresa e come se i lavoratori e le lavoratrici non costituissero essi stessi l’azienda, è una visione miope e i dati sulle chiusure e sulla difficoltà di trovare personale lo stanno dimostrando — dichiara — Si parla tanto dell’efficienza, ma essa è solo uno dei valori dell’attività di impresa, non può essere l’unico. Se per essere più “efficienti”, quindi aumentare i profitti, si chiede a chi ha un part- time di fare tante ore di supplementari perché non si vogliono aumentare i costi assumendo nuovo personale, forse aumentano di un millesimo i profitti ma si rendono i lavoratori e le lavoratrici incapaci di gestire il proprio tempo tra la vita e il lavoro e questo ha delle esternalità negative anche per l’azienda. Se i tuoi dipendenti sono scontenti lavorano peggio e se guadagnano poco e non hanno il tempo nemmeno di fare la spesa allora come imprenditore hai perso un’intera famiglia di possibili consumatori. Alla fine dei conti queste scelte si vedono anche nel numero delle chiusure che continuano ad aumentare».
Il segretario Picchetti ne è convinto: «Inseguire i colossi e i loro profitti non può essere l’obiettivo dei piccoli punti vendita — dichiara — Se pensano di poter competere con i loro profitti e con i loro prezzi tagliando sul costo del lavoro e aumentando la flessibilità si stanno scavando la fossa da soli. La funzione dell’impresa non è solo il profitto, c’è anche un’importantissima funzione sociale che è svolta sopratutto dai piccoli commercianti. Nell’inseguire ciò che è diverso stanno perdendo la loro identità destinandosi alla chiusura. Esempio chiaro sono le aperture domenicali e la massima flessibilità che è chiesta a lavoratori e lavoratrici». Perché, è il ragionamento di Picchetti, «con le prime si ha un aumento dei costi che sono superiori ai guadagni e con la flessibilità si abbassa la qualità della vita e il mal contento della forza lavoro che si sta spostando verso altri settori propri perché propongono condizioni lavorative migliori». Per il segretario «bisognerebbe ritrovare un’identità nell’attività dei piccioli commercianti», di qui l’apertura del sindacato «a costruire un rapporto efficiente tra lavoratori e imprenditori che ricostruisca l’orgoglio di lavorare in queste attività al servizio della comunità, tramite una retribuzione adeguata e sistemi di cooperazione e welfare aziendale».

 

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