07 novembre 2019 – Corriere del Trentino

Plastica, in Trentino mille dipendenti Industriali e sindacati contro la tassa

Venticinque le aziende del settore, fatturato di 370 milioni. L’affondo: l’ambiente non c’entra

La tassa sulla plastica che il governo nazionale vorrebbe introdurre dal 2020 — anche se si stanno negoziando alcune modifiche — andrebbe a colpire direttamente soltanto un paio di aziende, con una trentina di dipendenti e un fatturato di circa 15 milioni di euro. Ma le imprese che sul territorio provinciale trattano materie plastiche sono circa 25, con un fatturato complessivo di 370 milioni e oltre mille dipendenti. In via secondaria, l’impatto della nuova tassa colpirebbe poi le tante aziende che acquistano prodotti finiti e semi-finiti imballati con il materiale oggetto della tassazione, o plastica per imballare i beni prodotti, con la conseguenza di un aumento dei costi di produzione. Nessun vantaggio, o comunque trascurabile, quello sulle casse dell’erario della Provincia di Trento.
A livello nazionale l’impatto è invece molto più grande. Secondo i dati contenuti nella bozza della manovra finanziaria redatta dal governo, con la «plastic tax» entreranno nelle casse dello Stato 1,1 miliardi di euro nel 2020 e 1,8 miliardi di euro nel 2021. Soldi che per Federcosumatori saranno pagati dai cittadini, dai consumatori finali: 138 euro per famiglia. Per Codacons il «prezzo» che dovranno pagare le famiglie sarà ancora più alto: 165 euro.
Nelle intenzioni del governo l’imposta andrebbe a colpire i prodotti monouso come bottiglie di plastica, buste e vaschette in polietilene. Ma nel novero dei prodotti tassati —finoauneuroalchilo— compaiono anche il polistirolo, i tappi delle bottiglie, le etichette e materiali plastici usati per protezioni e imballaggi. La finalità dichiarata è ecologista, l’obiettivo è infatti quello di «sviluppare un’economia circolare, ridurre la quantità di rifiuti e l’inquinamento, tutelando così l’ambiente».
La «plastic free» agita però la maggioranza parlamentare per il «fuoco amico» che arriva da Italia Viva di Matteo Renzi contraria al provvedimento, difeso invece strenuamente dal Movimento 5 Stelle che in questa tassa riconosce «una politica ambientale giusta». Critiche all’ipotesi di una tassa sugli imballaggi in plastica arrivano però dalle associazioni degli industriali. Anche da Confindustria Trento che sottolinea come «la questione ambientale non c’entra nulla», rubricando la nuova tassa come «un altro balzello utile soltanto a fare cassa, che colpirà le imprese e che alla fine si ripercuoterà sui cittadini». Ma le critiche arrivano anche dai sindacati: «Uno dei tanti balzelli per fare cassa che non risponde ad una logica politica ambientale e che produrrà disagi a consumatori e produttori. Insomma — commenta Alan Tancredi della Uil — un provvedimento che produrrà un flop sistematico. Siamo perplessi». Il sindacalista parla di «legge che non regge» e di provvedimento «pseudo-ambientalista» che alla fine si ripercuoterà sul consumatore finale: «Un capolavoro all’incontrario».
«La tassa sugli imballaggi in plastica non sembra rispondere a una svolta green — afferma invece Claudio Corrarati, presidente di Cna Trentino Alto Adige — piuttosto è un aggravio fiscale senza un reale beneficio. Sugli imballaggi in plastica già oggi gravano prelievi ambientali come il contributo Conai, che finanziano positivamente raccolta e riciclo».
«Le imprese — sostiene infatti Confindustria nazionale — già oggi pagano il contributo ambientale Conai per la raccolta e il riciclo degli imballaggi in plastica, per un ammontare di 450 milioni di euro all’anno, dei quali 350 vengono versati ai Comuni per garantire la raccolta differenziata. L’introduzione di una tassa sulla plastica equivarrebbe, quindi, a una sorta di doppia imposizione, ingiustificata sia sotto il profilo ambientale che economico e sociale». Un tributo che per gli industriali «colpirebbe anche i prodotti di imballaggio contenenti materiale riciclato, andando a penalizzare gli enormi sforzi che le imprese stanno compiendo per la completa transizione verso l’economia circolare». Per le imprese, la misura proposta dal governo «non ha finalità ambientali, penalizza i prodotti e non i comportamenti, e rappresenta unicamente un’imposizione diretta a recuperare risorse ponendo ingenti costi a carico di consumatori, lavoratori e imprese».

 

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