Retribuzioni. In Trentino lavoratori con retribuzioni medie più basse di Alto Adige e Nordest

Presentata l’analisi di Barbieri e Gioachin dell’Università di Trento su redditi e rischi nel mercato del lavoro locale. Giovani più fragili per precarietà e bassi salari. Cgil Cisl Uil: per uscire dall’emergenza stipendi, spingere su contrattazione e una vera politica dei redditi della Pat

In Trentino i redditi medi da lavoro sono più bassi rispetto all’Alto Adige con un differenziale che ogni mese varia dai 300 ai 700 euro e che non si riduce anzi in qualche caso si amplia. Nella nostra provincia i lavoratori dipendenti ricevono compensi minori in media anche rispetto al Nordest, anche se la differenza è meno ampia. Così, di fatto il Trentino si allinea con le retribuzioni medie italiane, ma non in tutti i settori.
Una dinamica che pesa in particolare sui giovani, vero anello debole del mercato del lavoro locale insieme alle donne. I ragazzi trentini sono maggiormente esposti al rischio di impieghi precari e retribuzioni povere rispetto, per esempio, ai cugini altoatesini.

Sono questi alcuni degli elementi che emergono dallo studio “Redditi e rischi nel mercato del lavoro trentino”, condotto dal professor Paolo Barbieri con Filippo Gioachin dell’Università di Trento.
L’analisi prende in considerazione i dati delle retribuzioni così come registrate dall’Inps, nel triennio 2018-2020 di circa 170 mila lavoratrici e lavoratori dipendenti dei settori privati. A ciò si aggiunge l’osservazione dei dati Istat/Eurostat per avere un primo termine di paragone anche con la vicina Austria.

Inquadramento
Negli ultimi trent’anni l’Italia è l’unico paese Ocse con una variazione negativa dei salari; in pratica mentre all’estero le retribuzioni crescono, nel nostro Paese si registra un calo del 2,9%. Parallelamente decresce la quota di ricchezza prodotta nel paese allocata sui salari. Un trend comune a tutto l’occidente, ma più marcato in Italia. Cresce a livello internazionale anche il divario tra produttività e salari. La tendenza italiana è forse anche peggiore perché alla caduta del potere d’acquisto delle retribuzioni si è accompagnata una preoccupante stagnazione della produttività del lavoro. Un insieme di fattori che porta ad accrescere le diseguaglianze economiche e sociali: aumenta la quota di lavoratori a rischio povertà, si riduce la mobilità sociale e si amplia la forbice tra ricchi e poveri. L’Italia tra i Paesi Ue ha il quinto livello più alto di rischio di povertà lavorativa, seguita solo da Lussemburgo, Spagna, Grecia e Romania.

Retribuzioni
È in questo quadro macroeconomico che si inserisce l’analisi sui dati Inps relativi alle retribuzioni di impiegati, operai e apprendisti del settore privato. Le cifre sono relative a Trentino, Alto Adige, Nordest e Italia. La provincia di Bolzano si colloca sempre nettamente sopra la media delle altre aree geografiche. Nel 2018 la retribuzione media annua a Bolzano era di 23.180 euro, in Trentino 20.590, nel Nordest 22.856, mentre la media nazionale era a 21.725. In sostanza in Trentino i redditi da lavoro medi sono più bassi dell’11,17% rispetto all’Alto Adige, del 9,91% rispetto al Nordest e del 5,22% rispetto alla media nazionale. Un trend che si conferma anche nei due anni successivi, con il 2020 che fa storia a sé considerati gli effetti su economia e occupazione provocati dalla pandemia.
Anche guardando la retribuzione giornaliera, depurando così il dato dal numero di giornate lavorate, il Trentino resta maglia nera con un differenziale che rispetto a Bolzano è del 11.35%, cala al 4,11% con il Nordest e al 2,24% rispetto alla media italiana. Le differenze tra Trentino e Alto Adige sono più marcate tra gli operai, circa 600 euro lordi al mese, tra gli impiegati la forbice è di circa 300 euro. L’analisi mostra un differenziale meno accentuato tra le donne che hanno, però, retribuzioni sempre più basse in tutte le aree geografiche rispetto agli uomini dello stesso livello. La differenza delle retribuzioni si conferma anche tra le diverse tipologie contrattuali. Le differenze relative ai soggetti con contratti di apprendistato vanno interpretate, invece, alla luce del sistema diverso usato in Alto Adige, cioè il duale alla tedesca, che riduce notevolmente i periodi lavorati e i redditi prodotti in apprendistato.

Settori
Guardando ai singoli settori quelli in cui la differenza delle retribuzioni è più marcata tra Trentino e Alto Adige sono il comparto ricettivo e della ristorazione con uno scarto delle retribuzioni medie giornaliere del 20,9% a vantaggio di Bolzano, sanità e assistenza sociale, cioè terzo settore, con +18,6% sempre per Bolzano, attività professionali e tecniche +15,38%. Gli stipendi sono diversi, però, anche nell’industria metalmeccanica con un gap tra Trento e Bolzano pari all’8,39%, che si riduce al 2,08% rispetto al Nordest e al 1,4% rispetto alla media nazionale. È evidente, dunque, che i settori che soffrono maggiormente sono quelli in cui, come il turismo, non c’era un contratto collettivo territoriale – l’accordo è stata siglato solo poche settimane fa -, o i rinnovi contrattuali sono bloccati da troppi anni, basti pensare all’integrativo provinciale delle cooperative sociali. Unico settore in cui le retribuzioni trentine superano quelle altoatesine è il trasporto. Su questo incide in positivo la contrattazione integrativa di cui godono i lavoratori del trasporto pubblico locale in Trentino.

Lavoro povero
Le lavoratrici e i lavoratori trentini sono maggiormente esposti al rischio di essere poveri anche avendo un’occupazione. Un rischio che in Alto Adige, come mette in luce l’analisi di Barbieri e Gioachin, è meno forte. Addirittura la provincia di Bolzano dal 2009 al 2020 è l’unica area geografica in cui si nota un calo del rischio povertà per le lavoratrici. In Trentino, Nordest, Italia e Austria le curve restano costanti e le donne sono sempre più esposte a causa delle retribuzioni più basse. Il rischio povertà è più accentuato per operai e impiegati. In Trentino peraltro la curva sale nel tempo, mentre in Alto Adige decresce.

Donne e giovani
In un Trentino dove le lavoratrici e i lavoratori sono meno pagati, sono i soggetti più fragili sul mercato del lavoro, cioè i giovani e le donne, a subire le conseguenze più pesanti di questa situazione. In particolare per quanto riguarda i giovani in Trentino tra i 20 e i 34 anni hanno un rischio più elevato di avere un contratto precario rispetto all’Alto Adige, al Nordest e all’Austria. Un fenomeno che incide anche sulle retribuzioni e che spiega il più alto rischio di lavoro povero. In questo quadro andrebbe analizzata anche la curva decrescente della natalità in provincia: i giovani non fanno figli perché non hanno un’occupazione sicura né retribuzioni adeguate. In questa logica va da sé che l’attore pubblico dovrebbe investire su meccanismi che da una parte incentivano la stabilizzazione e dall’altra garantiscono sostegno nel tempo alle famiglie con figli. La strada intrapresa fino ad oggi dei bonus nascita non può avere un impatto positivo sulla natalità perché non rimuove gli ostacoli che frenano i giovani a mettere al mondo dei figli. Su questa dinamica si inserisce anche la qualità inferiore del lavoro femminile, che l’analisi dei due sociologi conferma. Le donne in Trentino come in Alto Adige hanno una quota tripla di contratti a tempo parziale

Il commento Cgil Cisl Uil del Trentino
I dati confermano l’urgenza di affrontare la questione salariale in Trentino se non si vuole che fasce sempre più ampie di popolazione scivolino in posizione marginale. “Serve una politica dei redditi che tuteli e innalzi il potere d’acquisto del ceto medio e delle fasce meno abbienti”, dicono i tre segretari generali, Andrea Grosselli, Michele Bezzi e Walter Alotti.
La traiettoria su cui muoversi è duplice: da una parte rafforzare il welfare locale con misure di sostegno alle famiglie che vadano oltre la logica dei bonus. “Il primo passo dovrebbe essere quello di adeguare tutti i sostegni, a cominciare dall’assegno unico provinciale, all’inflazione, perché gli aiuti non vengano erosi dall’aumento dei prezzi”. Una scelta di questo tipo equivale a rinunciare a misure spot, come quelle messe in campo negli ultimi quattro anni dal bonus nascita al bonus energia, rafforzando invece in sostegni alle famiglie con figli fino ai 18, adottando politiche abitative che rispondano a quanti faticano a trovare una casa sul libero mercato, ampliando e rendendo più accessibili e flessibili le misure di conciliazione per favorire così l’occupazione femminile.
Anche le politiche industriali dovrebbero essere orientate alla protezione del potere d’acquisto. “Per alzare le retribuzioni serve rinnovare nei tempi giusti i contratti e incentivare la contrattazione integrativa. Il pubblico ha una leva importante su cui agire, vale a dire i contributi pubblici alle imprese. Continuiamo a sostenere che devono essere selettivi e andare solo alle aziende che rispettano i contratti delle organizzazioni maggiormente rappresentative e che aprono tavoli per accordi di secondo livello. Se non arriveranno risposte chiare dalla Giunta Fugatti su questi punti siamo pronti a mobilitarci”.
Una questione, quest’ultima, che chiama in causa anche i datori di lavoro. “È impossibile attrarre manodopera qualificata se non si investe sulla qualità dell’occupazione, quindi retribuzioni e condizioni di lavoro migliori. Il nostro territorio deve giocare sul terreno della competizione puntando su innovazione e capitale umano, non tagliando il costo del lavoro sulle spalle di lavoratrici e lavoratori”.

Trento, 13 marzo 2023

 

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