Il T – 30 giugno 2023

Violenza di genere e lavoro. Un garante della parità

Tante volte in questi anni abbiamo affrontato il tema delle pari opportunità, della necessità di dare valore alle diversità di genere, etnia, nazionalità, età e background socioculturale.
La pandemia, secondo una recente analisi del Global Gender Gap, ha allungato i tempi, stimati ora in 268 anni, necessari per raggiungere la parità di genere nel lavoro. Tra i Paesi con minor differenza di genere svettano Islanda, Finlandia e Norvegia, mentre l’Italia si attarda al 63° posto su 156.
È necessario, in un periodo di crisi economica e trasformazione, analizzare con occhi nuovi il mondo del lavoro che cambia e spingere sulla valorizzazione delle nuove generazioni, più scolarizzate rispetto al passato, soprattutto le giovani donne, che frequentano scuole superiori e università in percentuale maggiore dei loro coetanei. In Italia, il 53% di coloro che hanno ottenuto un dottorato è di sesso femminile.
La parità di genere è la piena realizzazione di diritti e libertà fondamentali che tardano ad affermarsi. Nonostante l’Unione Europea abbia come obiettivo cardine l’eliminazione delle diseguaglianze all’interno del suo territorio già dal 1957, ad oggi i risultati mostrati dai dati sono ancora molto lontani dal raggiungimento di questo obiettivo: l’indice di uguaglianza di genere in Unione Europea è pari, in media, al 68,6% (5.5 punti percentuali in più rispetto al 2013).
Più volte abbiamo affrontato il tema del lavoro femminile e del basso tasso di occupazione, in Italia lavora meno di una donna su due (circa 42%), mentre in Trentino siamo quasi al 62% (in Alto Adige al 67%), molto meglio ma pur distanti di quasi 10 punti dai Paesi nordici, alta percentuale di contratti part time (40%) e di tempi determinati (23%), elevata differenza salariale (12%), mancata possibilità di carriera (solo il 28% dei manager sono donne), accesso a formazione stem (16% donne 34% uomini). Infine in un panorama già fortemente penalizzante per le donne, dato ancor più grave è quello relativo alla violenza di genere: una donna su tre, all’interno dell’Unione Europea, ha subito violenze fisiche o sessuali. Centoventi sono state le vittime di femminicidio nel nostro Paese nell’anno 2022. Una vera emergenza sociale che necessità un forte impegno da parte di tutti soggetti istituzionali e delle parti sociali.
La violenza nel mondo del lavoro rappresenta una minaccia per la dignità, la sicurezza, la salute e il benessere di tutti. La violenza ha un impatto non solo su lavoratrici e lavoratori, ma coinvolge anche la famiglia, la comunità, la società nel suo complesso. Sia le donne che gli uomini possono subire molestie sessuali o altre forme di violenza sul lavoro, tuttavia le donne tendono ad essere più vulnerabili e pertanto sono molto più colpite da questi eventi rispetto agli uomini. La violenza può manifestarsi in numerosissime forme, per questo è importante saper riconoscere una vittima di violenza e sostenerla in un percorso di protezione ed emancipazione. Le parti sociali hanno il compito di sostenere questi percorsi attraverso azioni concrete e sostenibili contrattualmente.
Al fine di contrastare la violenza di genere, in ogni sua forma, fuori e dentro i luoghi di lavoro, la proposta della UilTucs si concretizza nell’istituzione di una figura di rappresentanza, votata dalle lavoratrici e dai lavoratori, garante della parità, che abbia poteri e agibilità per denunciare e contrastare ogni forma di violenza, molestia e discriminazione di genere. Un’iniziativa che si realizza a partire dalle norme internazionali e che vede nella legge numer 4 del 2021 uno strumento di piena fattibilità.
Gli studi sulla parità di genere hanno stimato che i benefici derivanti dalla riduzione del divario retributivo di genere, nei Paesi Ocse, si tradurrebbe in un aumento del 23% (almeno) dei guadagni annuali delle donne. Inoltre la piena parità di genere inciderebbe fortemente sulla crescita del Pil di ogni Paese. Oltre a questo la riduzione del divario salariale di genere comporterebbe una riduzione del tasso di povertà. Gli effetti positivi di un minor divario retributivo possono pertanto sintetizzarsi in: guadagni economici e di crescita, effetti di risparmio sui trasferimenti di welfare statale e benefici derivanti dall’assunzione di posizioni dirigenziali da parte delle donne.
Se il settore di appartenenza e l’orario di lavoro sono le due caratteristiche che incidono maggiormente sul divario salariale, esistono comunque altri fattori fortemente impattanti quali istruzione, età, ruolo, occupazione, tipologie contrattuali, controllo pubblico delle imprese, dimensioni dell’impresa e contratti collettivi di lavoro applicati.
Ma come è possibile contrastare il fenomeno del divario salariale? L’Unione Europea ci ha consegnato negli scorsi mesi una direttiva che si muove in questa direzione. L’Italia a seguito della direttiva ha elaborato una propria strategia, che prevede una serie di misure volte al rafforzamento della trasparenza in tale ambito. Tuttavia la UilTucs, consapevole dell’importanza di questo tema, ha elaborato una sua proposta contrattuale che prevede la costituzione di comitati tecnici dedicati e partecipati dalle organizzazioni sindacali, all’interno delle aziende con più di 50 dipendenti, oltre all’ampliamento delle informazioni divulgabili in termini salariali. Le informazioni sui livelli retributivi, differenziati per genere, devono portare alla luce dati significativi come le retribuzioni di fatto dei lavoratori e delle lavoratrici. Solo nella massima trasparenza sarà possibile contrastare la discriminazione salariale di genere.

* Componente segreteria UilTucs

 

Scarica il pdf: IL T Largher ART 300623