5 gennaio 2017 – Corriere del Trentino

L’intervento di Walter Alotti
«Il modello sanitario va rivisto, manca il coraggio di innovare»

L’assessore alla sanità, Luca Zeni, su mia sollecitazione, ha organizzato nei giorni scorsi un incontro tra i segretari delle confederazioni sindacali e il nuovo direttore dell’Azienda sanitaria, Paolo Bordon. L’occasione è stata propizia, oltre che per uno scambio di riflessioni sul tema della sanità, anche per ascoltare la presentazione del progetto di riorganizzazione dell’Azienda sanitaria, licenziato il 16 dicembre scorso dalla giunta provinciale. Un modo assai superficiale di affrontare con un interlocutore sociale importante — il sindacato confederale — uno dei temi cardine dell’amministrazione pubblica. Attorno alla sanità, da sempre, c’è grande attenzione, a maggior ragione in un territorio che si fregia della parola «Autonomia», e che grazie a una simile peculiarità ha la possibilità di gestire, con qualche buon margine di libertà finanziaria e amministrativa, una partita sociale ed economica che abbraccia più di un quarto delle risorse inserite a bilancio.

La proposta e la delibera della giunta, che ora passerà al vaglio del Consiglio provinciale, è stata prodotta e realizzata in modo autoreferenziale e prettamente tecnico, senza tenere conto del coinvolgimento delle rappresentanze sociali, territoriali e civili. Rappresentanze che peraltro negli ultimi mesi — a torto o ragione — avevano e hanno espresso più o meno «rumorosamente» la volontà di essere coinvolti democraticamente nella riforma annunciata, in modo da poter portare il proprio contributo alla rideterminazione del disegno sanitario trentino.

I temi caldi, del resto, non mancano: dai punti nascita, all’aumento dei ticket del pronto soccorso, alla vicenda delle guardie mediche, alla protonterapia, alle difficoltà nel reperire anestesisti o pediatri. Senza dimenticare poi il servizio di elisoccorso, la riduzione delle centinaia di prestazioni previste dai nuovi Lea, la problematica della riabilitazione ormai delegata ai privati. Infine, la mai sopita questione delle liste d’attesa per visite specialistiche ed esami diagnostici, che per gli indici statistici dell’Azienda sanitaria ci vedono ai primi posti nazionali per velocità nella tempistica di fruizione dei servizi, ma che invece nella percezione degli utenti è esattamente l’opposto.

Sul Corriere del Trentino del 27 dicembre scorso, Giovanni Pascuzzi ha toccato un argomento alquanto delicato come quello dell’«ingordigia di competenze» da parte del Trentino (dei politici provinciali in particolare, dico io), ossia del riflesso condizionato a chiedere allo Stato, ogni volta che si presenta un problema, una competenza che dovrebbe(potrebbe)dare una mano a superare gli ostacoli. Ciò si manifesta senza aver fatto approfondimenti circa il costo di tali nuove competenze o rispetto alla capacità di smarcarsi da quadri normativi statali o comunitari che poi nella quotidianità giornaliera non permettono di applicare ai problemi emersi le tanto decantate soluzioni «locali». Credo che tale ragionamento sia condivisibile in riferimento alle periodiche rivisitazioni normative o alle riforme attuate — o in procinto di esserlo — in settori in cui le competenze autonomistiche sono già da tempo attive e previste(ad esempio nella scuola oppure proprio nella sanità).

Sempre riguardo alla sanità, in questo caso sul Corriere della Sera post natalizio, mi ha colpito un articolo a firma Giuseppe Remuzzi con il quale si avanza una proposta forte indirizzata al Servizio sanitario nazionale (proposta rivoluzionaria a mio modesto parere): assumere a tempo pieno i giovani laureati in medicina ed eliminare per loro la possibilità dell’«intramoenia»(la possibilità cioè per i medici ospedalieri di esercitare la professione nei locali pubblici), evitando così la fuga verso l’estero, fenomeno in costante aumento. Una simile impostazione darebbe la possibilità di eliminare le liste d’attesa, allargando quantomeno — storica richiesta della Uil anche in Trentino — le fasce orarie di fruizione delle visite specialistiche e della diagnostica. Uno scenario che l’assessorato alla Salute del Trentino, a prescindere dal nome dell’assessore in carica, rifiuta da anni di sperimentare, anche solo parzialmente, aprendo magari i servizi al sabato o in orari serali.
Ecco un esempio di proposta di provvedimento fuori dai canoni. Il cambio di registro operativo e di filosofia organizzativa che vorremmo e ci dovremmo aspettare in una Provincia autonoma. Il nostro territorio potrebbe gestire una delega con buone risorse, ma ricorre purtroppo spesso a modalità gestionali prese da altre regioni italiane, quasi sempre a statuto ordinario. In queste regioni l’obiettivo però è solo la mera riduzione dei costi strutturali del sistema o «la produzione di risparmi per il servizio sanitario provinciale», come recita burocraticamente la relazione che accompagna la grigia delibera relativa alla «nuova macro organizzazione dell’Azienda sanitaria provinciale».

Occorrono quindi capacità di visione e strategie nuove, nella sanità come in tutti gli altri settori dell’amministrazione provinciale, utili a migliorare il servizio ai cittadini e a valorizzare veramente le nostre prerogative autonomistiche, per far sì che non siano bersaglio ma piuttosto esempio virtuoso di sviluppo e modello di governo da emulare, anche fuori dai nostri confini.

* Segretario generale Uil del Trentino

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