Il T – 12 gennaio 2023

Dagli asili ai migranti: tre punti di rilancio

L’inverno demografico è già una realtà anche per il Trentino. Lo testimoniano due dati su tutti. Il primo: lo scorso anno risiedevano nella nostra provincia circa 21.600 bambine e bambini tra 0 e 4 anni e 25.000 tra 5 e 9 anni. Dieci anni fa, nel 2012, erano rispettivamente 27.000 e 27.300. In pratica negli asili nido, nelle scuole dell’infanzia e in quella primaria abbiamo 7.700 banchi vuoti perché all’appello mancano il 14,2% delle bambine e dei bambini under 10 di un decennio fa.
Il secondo dato è per certi versi ancora più preoccupante perché certifica la perdita di attrattività della nostra terra. Sono infatti due anni di fila che il Trentino perde abitanti per un saldo naturale estremamente negativo (molti più decessi delle nascite) e per una saldo migratorio in calo che, seppur ancora positivo, non compensa più l’andamento demografico. Così oggi, con 4.500 abitanti in meno rispetto al 2019, i residenti nelle nostre città e paesi sono poco più di quelli del 2017. Non sappiamo ancora se questa tendenza si confermerà ma va registrato come un segnale negativo anche il calo del 7% dei cittadini stranieri residenti in Trentino a fine 2021 rispetto all’anno precedente.
Se la convergenza di questi fenomeni con il progressivo invecchiamento della popolazione, porterà davvero ad una calo della forza lavoro del 25% entro il 2030, bisogna correre ai ripari rapidamente e farlo con strategie efficaci. Perché cedere alla tentazione di interventi spot, comporta solo un insostenibile spreco di risorse e di tempo. La demagogia in questo senso è stupida, tafazziana. Per invertire una tendenza demografica servono razionalità, lungimiranza e costanza, quello che è mancato in quest’ultima consiliatura. Serve una strategia fondata su tre punti.
Primo. È tempo di condividere un patto con le imprese perché i giovani possano inserirsi rapidamente nel mercato del lavoro provinciale con contratti stabili e retribuzioni più elevate. Vanno quindi eliminati i tirocini extracurriculari per tutti i giovani qualificati, diplomati e laureati. Ma si devono anche trasformare gran parte dei tirocini curriculari e dei tirocini estivi in contratti di apprendistato retribuito, almeno per chi frequenta scuole professionali, istituti tecnici, alta formazione e lauree professionalizzanti. Accanto al ripristino della staffetta generazionale e alla diffusione di pratiche di age management, serve poi che come parti sociali si condivida la necessità di aumentare la selettività dei contributi provinciali alle imprese premiando la stabilizzazione e l’assunzione con contratti a tempo indeterminato dei giovani. Non possiamo chiedere ai giovani di mettere su famiglia e fare figli presto se fino ai trent’anni sono condannati ad impieghi precari, spesso a bassa qualificazione e poco retribuiti che non permettono spesso di far fronte neppure ai costi abitativi.
Secondo. Va rafforzato il ruolo delle istituzioni educative provinciali dagli asili nido fino all’Università. Crediamo improrogabile che in Trentino sia garantito l’accesso agli asili nido a tutti i bambini nella fascia 0-3 anni aumentando il numero dei posti attualmente disponibili e vada qualificata l’offerta educativa delle scuole dell’infanzia, sforzo che non ha nulla a che vedere con l’aumento di un mese del servizio. Si deve procedere invece ad un’estensione degli strumenti di conciliazione lungo tutto l’anno e almeno per l’intero ciclo 0-13 anni, grazie a servizi professionali da rendere disponibili su tutto il territorio provinciale con livelli di compartecipazione ridotti a carico delle famiglie, in un rapporto tra scuole, associazionismo e cooperazione sociale. Inoltre bisogna mantenere alta la professionalità del personale educativo e scolastico, anche per affrontare le sfide del futuro, in particolare per la diffusione della cultura delle materie linguistiche e Stem fin dalla prima infanzia. In questo caso il ruolo dell’Università di Trento è decisivo, anche nella prospettiva di realizzare un centro di competenze o una facoltà per la formazione di docenti ed educatori. Se è vero che il 40% dei lavori futuri ancora non esistono e che gli studenti di oggi dovranno affrontare un mercato del lavoro rivoluzionato dalle tecnologie, allora serve puntare sempre di più, anche nei curricula scolastici, sulle cosiddette competenze trasversali e sulle soft skill ma anche sull’imprenditorialità.
Terzo. Sugli stranieri i dati dimostrano quanto abbiamo sempre sostenuto: l’abbandono delle politiche di accoglienza, il ridimensionamento delle funzioni di Cinformi, la restituzione di risorse europee per l’insegnamento della lingua italiana, le misure discriminatorie nei confronti delle famiglie di origine straniera non sono solo ingiuste, sono puro autolesionismo per il Trentino. Oggi più che mai gli stranieri portano ricchezza visto che senza di loro non si potrebbero costruire case o strade in Trentino, nessuno si prenderebbe cura dei nostri anziani e i nostri alberghi non avrebbero il personale per accogliere i propri ospiti. Ecco allora che mentre più ne abbiamo bisogno, la percentuale di stranieri residenti è scesa al 9,1%, contro il 9,7% dell’Alto Adige e il 10,9% del Nordest. E per paradosso ciò comporterà il rischio di un’ulteriore contrazione del tasso di natalità in Trentino, visto che i nuclei composti da cittadini stranieri fanno in media più figli. A questo proposito verrebbe da dire che a forza di gridare «al lupo, al lupo» (prima gli italiani, via gli stranieri), il lupo si materializza davvero (gli immigrati vanno altrove). La responsabilità di queste scelte sta tutta in piazza Dante. È quindi urgente una inversione ad U: torniamo ad aprire le porte all’immigrazione grazie alla regolarizzazione dei flussi e all’investimento sulla piena integrazione dei cittadini stranieri, a partire dai giovani di seconda generazione. Anche da qui passa il futuro del Trentino.

Andrea Grosselli, Michele Bezzi e Walter Alotti
Segretari provinciali di Cgil, Cisl e Uil

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