Trentino, Il T – 16 giugno 2023

Fuga di medici: dimissioni raddoppiate. La denuncia arriva da sindacati e personale. In 10 anni persi 300 posti letto

La sanità pubblica, trentina e nazionale, ha raggiunto il punto di non ritorno. O si riparte credendoci, e rilanciando, oppure il servizio sanitario nazionale rischia il collasso, lasciando i cittadini nelle mani del privato e quindi discriminando tra chi può permettersi le cure e chi no. Il centro del problema è il personale, le carenze organiche generano turni massacranti e stress eccessivo nei medici. Intanto la concorrenza di un privato, che promette orari umani e paghe migliori, si è fatta sempre più pressante e a dimostrarlo è il numero delle dimissioni di medici. Cresciute in Trentino dalle 30 all’anno pre- pandemia alle 60 del 2022, un incremento del 100% che interroga tutti. È questo il grido di allarme lanciato all’evento «Salviamo la sanità pubblica» organizzato in 35 città in Italia, tra cui Trento, dove hanno partecipato tante sigle sindacali del mondo della sanità: Anaao Assomed, Cimo-Fesmed, Anpo, Aaroi-Emac, Fassid, Fp Cgil Medici, Fvm, Uil Fpl Coordinamento delle aree contrattuali medica, veterinaria, sanitaria e Cisl Medici. L’evento, organizzato presso l’auditorium dell’ospedale Santa Chiara, è stato partecipato da tanti professionisti del settore, ma anche dai rappresentanti delle associazioni dei pazienti preoccupati per lo stato della sanità pubblica.
I dati e le storie
Sono i numeri a fornire contezza delle difficoltà dei vari reparti. «Le dimissioni sono passate da 30-40 prima della pandemia a 60 nel 2022 – spiega Luigi Diaspro segretario Fp Cgil del Trentino – Non solo: le dimissioni di infermieri sono passate dallo 0,8% di un anno fa all’1,5% di adesso. Anche questo raddoppio deve fare riflettere». Non è solo una questione di quantità, ma anche di qualità. «La Provincia dice che i numeri del personale sono stazionari epiùomenoèveroanchese abbiamo toccato con mano situazioni insostenibili nei reparti di radiologia, pronto soccorso e psichiatria – spiega Sonia Brugnara della Cimo-Fesmed – Il problema però è che nei reparti medici strutturati vengono sostituiti con gettonisti e specializzati assunti con il decreto Calabria. Uno non vale uno. Così si perdono relazioni, buone pratiche e il risultato è che per sostituire un professionista ne servono tre. L’azienda sanitaria deve essere capace di attrarre personale, ma prima di tutto di non far scappare il proprio». A dimostrare la fondatezza di questa tesi sono i dati forniti da Giuseppe Varagone della Uil Sanità: «In Trentino due terzi dei
medici del pronto soccorso sono gettonisti. A Trento su 31 sanitari 18 sono gettonisti, a Rovereto sono 14 a fronte di appena 6 strutturati ad Arco sono 3 su un totale di 4». Ci sono anche le storie che restituiscono la complessità della situazione. «Attualmente ci troviamo con due ospedali, Cavalese e Borgo, senza radiologi a parte il primario – racconta una dottoressa – Come ci siamo arrivati? Facile, a Cavalese erano in tre, due prossimi alla pensione e uno giovane. Appena ha capito che rischiava di rimanere da solo, il giovane si è licenziato. A questo punto i colleghi di Borgo, che temevano di dover coprire sull’ospedale di Fiemme, si sono a loro volta dimessi lasciando il solo primario e i gettonisti a coprire il servizio sui due ospedali». La carenza di personale poi causa salti di ferie, turni massacranti, aumento di stress e spinge i medici rimasti a guardare altrove. E intanto i gettonisti, fondamentali per coprire i buchi del sistema, «guadagnano in 5 giorni quello che uno strutturato porta a casa in un mese» denuncia il dottor Brunori. «Siamo diventati un esamificio come il privato, ma con paghe peggiori» si lamenta un altro medico. Per questo bisogna investire nella sanità, dicono tutti in coro, ma le risorse, denunciano, non si vedono.
La spesa
«In 10 anni in Trentino abbiamo perso 300 posti letto, come quattro ospedali periferici» denuncia Sonia Brugnara. La madre di tutti i problemi, secondo i professionisti del settore, sono i tagli alla sanità pubblica. Il biennio 19/21 aveva visto un incremento che però è stato utilizzato in larga parte per coprire i costi della pandemia e ora si sta tornando a livelli di spesa pre-covid. «Quello di cui abbiamo bisogno è un investimento a regime, strutturato» conclude Brugnara. La spesa in Trentino per la sanità è di circa 1,33 miliardi di euro. A fronte di un Pil attorno ai 22 miliardi significa poco più del 6% del Pil provinciale. Dato in linea con il resto d’Italia, ma lontano dalle prestazioni sopra il 10 di Francia e Germania. La domanda è: si può fare di più? «Certo che si può fare di
più – commenta Luigi Diaspro – Ma io vado oltre: non si può legare il diritto alla salute alla crescita del Pil. Dobbiamo mettere anche il personale dentro i Lea. Sono loro il servizio essenziale, senza i professionisti della sanità il sistema non funziona». Bisogna investire sul personale. «Abbiamo chiuso ora il rinnovo del contratto dei medici per il 16/18 con clamoroso ritardo e ancora dobbiamo aprire il capitolo del 19/21 che a livello nazionale stanno chiudendo così non si va avanti». A fronte di tutto questo la spesa per la sanità privata convenzionata è aumentata da 60 a 72 milioni, circa +20% sulle prestazioni. «Il privato può essere un utile supporto – commenta Diaspro – Ma bisogna essere chiari: il finanziamento è per mettere una toppa o si sta imboccando una strada senza dirlo ai cittadini?» e il riferimento è alle vicine Lombardia e Veneto dove circa il 30% della sanità è in mano al privato. A riassumere la situazione è il racconto di una dottoressa di pronto soccorso. «Noi lavoriamo 7 giorni su 7, non c’è pausa non ci sono ritmi umani. Sono arrivata in Trentino 14 anni fa dalla Sicilia. Tempo fa vedevo la differenza tra un’autonomia gestita bene e una no. Ora non mi sembra più».
Un patto per la sanità
A tirare le somme sono stati il presidente dell’ordine dei medici, Marco Ioppi, e Renzo Dori, presidente della consulta provinciale per la salute. «I dati sono drammatici – ha detto Ioppi – Serve un patto sociale, metterci attorno a un tavolo come operatori insieme a cittadini e associazioni per riscrivere una sanità che sia uguale per tutti. E poi dobbiamo dire che noi, attraverso la prevenzione, produciamo salute. Una fonte di ricchezza pari al turismo e all’agricoltura». Concorde anche Dori. «Ci troviamo di fronte a una crisi di sistema, non passeggera. Dobbiamo dare priorità a prevenzione e salute liberando così risorse per il resto della sanità»

 

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