Il T – 08 novembre 2022

La pandemia salariale e la necessità di una svolta

di Andrea Grosselli, Michele Bezzi e Walter Alotti *

In Trentino esiste un problema retribuzioni. Le buste paga delle lavoratrici e dei lavoratori sono più basse non solo della media dell’Alto Adige, ma anche del Nordest. Siamo più vicini quindi alle dinamiche salariali nazionali dove negli ultimi trent’anni le retribuzioni hanno perso potere d’acquisto. Questa situazione compromette la qualità della vita delle famiglie trentine e pregiudica l’attrattività del nostro territorio su un mercato del lavoro che dobbiamo immaginare almeno di respiro europeo. Ciò che più ci preoccupa, però, è che questa dinamica rischia di diventare esplosiva per la rapida impennata dell’inflazione come ha sottolineato Lorenzo Ciola nell’edizione di domenica de «il T». A fronte di retribuzioni che l’anno prossimo si prevede cresceranno poco più del 3% circa, i prezzi che oggi sono aumentati di oltre il 10%, resteranno particolarmente elevati. A rischio non c’è solo la perdita di competitività del Trentino, ma una grave ipoteca sulla tenuta sociale della comunità. Stiamo marciando spediti verso una vera e propria «pandemia salariale» i cui effetti sociali possono essere devastanti.
È questa la ragione che ci spinge, fino ad oggi purtroppo inascoltati, a sollecitare un cambio di rotta nelle scelte della giunta provinciale per costruire una politica dei redditi che dia risposte nell’immediato, ma che si muova anche in una indispensabile prospettiva di sviluppo con una molteplicità di interventi.
Il primo tassello deve essere il superamento della precarietà. L’aumento dell’occupazione dopo il Covid è stata per lo più a tempo determinato, a chiamata o simili. Il Trentino ha un tasso elevato di part time involontario, vuol dire non scelto dalle lavoratrici e dai lavoratori e nei settori caratterizzati da elevata stagionalità, come il turismo, le giornate lavorate sono meno dell’Alto Adige. Questo riduce i redditi delle famiglie. Se ne esce favorendo vere stabilizzazioni, superando per i giovani il ricorso a stage e tirocini, ma incentivando i contratti di apprendistato, riducendo le esternalizzazioni e garantendo le clausole sociali per il mantenimento del posto di lavoro anche negli appalti privati.
Se ne esce, soprattutto, favorendo la contrattazione. La strada qui non ammette deviazioni. Vanno sostenute solo le imprese che applicano i contratti collettivi firmati dalle organizzazioni datoriali
e sindacali maggiormente rappresentative; va incentivata la contrattazione di secondo livello, sia aziendale sia territoriale. È anche così che si alzano le buste paga. Eppure la giunta provinciale sembra marciare in direzione opposta e contraria sprecando, per noi scientemente, l’occasione di riformare la legge 6, quella degli incentivi alle imprese. Si potevano vincolare i contributi provinciali al rispetto dei contratti rappresentativi. Si è scelto di non farlo, consentendo di finanziare anche le aziende che applicano i contratti pirata. Il caso Sicor dimostra che il problema c’è e non serve manifestare solidarietà ai lavoratori, quando non si fa nulla per evitare che questo accada di nuovo.
Ma la giunta provinciale ha fatto anche peggio: cancellando la procedura negoziale, relega ai margini il sindacato e mortifica così il potere contrattuale dei rappresentanti dei lavoratori, lascia mani libere alle imprese e cancella anni di politiche industriali partecipative sul nostro territorio.
In questo clima è facile immaginare quanto sia in salita la strada per arrivare alla definizione di un contratto di secondo livello per le lavoratrici e i lavoratori del turismo, uno dei settori trainanti della nostra economia o il rinnovo di quello delle cooperative sociali, comparto cruciale per il ruolo svolto nell’assistenza ai più fragili. La Provincia dovrebbe dare un segnale convocando le parti, agevolando il confronto. Per prima invece sfugge ai suoi doveri di datore di lavoro – il più importante sul territorio con oltre 40mila dipendenti – non stanziando nemmeno un euro per il rinnovo dei contratti pubblici per il triennio 2022-2024 e dando il cattivo esempio alle imprese. Le retribuzioni crescono anche se la nostra economia cresce in produttività e competitività. Il problema non è tanto il cuneo fiscale ma il calo degli investimenti delle imprese mentre a Bolzano negli ultimi quindici anni sono aumentati. Lo dice anche «The European House–Ambrosetti» quando certifica che in Trentino rispetto al 2015 sono calati gli investimenti privati in innovazione e ricerca. Primo compito delle politiche industriali deve essere riattivare questa propensione ad investire. Si potrebbe partire legando gli incentivi solo all’innovazione. La stessa Confindustria Trento, per bocca del suo direttore Roberto Busato, ha chiesto maggiore selettività negli aiuti alle imprese. Perché se è giusto e utile sostenere le aziende con soldi pubblici, è assurdo sprecare queste risorse per contributi a pioggia che vanno anche a chi non spende un euro nella transizione ecologica o per innovare prodotti e processi. O peggio chi taglia i salari, opera in condizioni di insicurezza, lavora con modelli organizzativi e gestionali di cinquant’anni fa. A Bolzano hanno abolito le detrazioni Irap per tutti. La giunta Fugatti dimostri coraggio e faccia altrettanto. Per il bene delle aziende sane. Per un Trentino protagonista del proprio futuro.

* segretari provinciali
di Cgil, Cisl e Uil

 

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