Trentino, Il T – 15 giugno 2023

Trentino nel limbo della precarietà

Pur nell’incertezza dell’economia, il 2022 è stato un anno di crescita per il mercato del lavoro, con l’occupazione tornata a salire dopo la crisi pandemica. Eppure, il Trentino resta nel limbo della precarietà. Il tasso di trasformazione di rapporti di lavoro a tempo determinato in posto stabile e la creazione di nuovi contratti indeterminati risulta inferiore rispetto alla media nazionale. Quattro posizioni su cinque sono risultate a tempo determinato, o legate a inquadramenti di apprendistato o di collaborazione. Non solo. A testimonianza della pervasività del lavoro precario in provincia, un rapporto di lavoro su tre ha avuto una durata massima di 30 giorni.
Il quadro restituito dall’analisi delle comunicazioni obbligatorie elaborate dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e sintetizzato dal sindacato Uil è quello di un lavoro stabile che fatica a decollere. Il report, pubblicato i primo giugno, analizza le assunzioni da parte delle aziende in Italia e nelle varie regioni nel corso del 2022, ma anche il numero, il motivo e la durata dei rapporti cessati. In totale, le attivazioni di rapporti di lavoro in Trentino a fine dicembre sono risultate poco meno di 170 mila. Un dato in crescita dell’8,3%, trainato in particolare dalla ripresa del settore turistico. In modo più vigoroso nei servizi pubblici e sociali, in alberghi e ristoranti e nelle attività dei trasporti e delle comunicazioni. Viceversa, a fine anno le assunzioni sono state meno rispetto al 2021 nel settore agricolo (-2,3%), nelle costruzioni (-1,1%) e dei collaboratori domestici (-17,3%). A un andamento tendenzialmente positivo delle posizioni di lavoro, però, fa da specchio un sostanziale mantenimento di una tipologia di lavoro precaria. Nel 2022 sono state 7.806 le trasformazioni di contratti da formule a tempo determinato a formule stabili. La crescita è stata del 23,1%. Decisamente inferiore rispetto a quella italiana, del 34,8%. E forse non si può giustificare questa lentezza come riflesso di un’economia trentina più vocata in settori inclini a impieghi stagionali, dall’agricoltura al turismo. Perché in provincia di Bolzano l’evoluzione è stata diversa: le stabilizzazioni sono state ben 11.646. Sono cresciute al doppio della velocità di quelle trentine(+44,5%).
Sul totale dei nuovi rapporti di lavoro attivati, i datori operanti nelle province autonome tendono comunque a scegliere contratti a termine. Nel territorio bolzanino, sono così quasi 4 posti su 5; in Trentino sono a tempo determinato il 77,4% delle attivazioni. Guardando invece i contratti a tempo indeterminato, la provincia di Trento è terzultima nella classifica delle regioni italiane, con solo l’8,7% delle nuove assunzioni di tipo stabile, a cui si aggiunge un
3,9% di apprendistato. Valori più bassi si trovano solo in Puglia e Basilicata. L’Alto Adige fa poco meglio, con 1 posto su 10 stabilizzato.
La volatilità dei contratti si nota anche dall’alto numero di cessazioni. In Trentino 164.632 a fine dicembre. Nel dettaglio del ministero del Lavoro emerge che quasi una cessazione su tre ha interessato contratti di durata inferiore ai 30 giorni. Un’incidenza di micro-contratti
superiore a tutto il Triveneto. Di questi ne sono stati registrati dalle aziende quasi 50 mila. Quasi 40 mila sono stati i rapporti di lavoro durati meno di tre mesi e 60 mila, invece, hanno avuto validità dai tre mesi a un anno. Nel prospetto è riportato anche il numero delle dimissioni, che sono state poco meno di 26 mila. Per la maggior parte (63,7%), infatti, le cessazioni sono avvenute proprio a causa del sopraggiunto termine del contratto. Perciò si può parlare di più di 100 mila contratti brevi bollati in provincia nell’arco di un anno.
È vero che il mercato del lavoro trentino si mostra più vitale rispetto ai due anni passati all’ombra del Covid. Ma la veste contrattuale è rimasta molto più discontinua che nel resto del Paese. Fatta di maggior precariato, rapporti di lavoro aperti e chiusi nell’arco di 30 giorni, e di una maggior difficoltà a stabilizzare i contratti. Con un tasso annuale di trasformazione a tempo indeterminato dell’8,7%. E una frequenza maggiore di tempo determinato, apprendistato e contratti di collaborazione (i tirocini sono in calo, del 10,4%, con 1.268 attivazioni). La crescita dell’occupazione riportata da tutte le statistiche non è perciò un segnale a cui corrisponde maggior stabilità. E contratti a singhiozzo non contribuiscono a stabilizzare i conti delle famiglie, in un momento in cui l’inflazione già restringe la loro capacità di spesa e contrae i risparmi in banca («Il T» del 9 giugno). Un tetris complesso soprattutto per i nuclei a basso reddito. Anche se una rassicurazione arriva dall’ultimo rapporto Istat: in provincia di Trento si riduce il rischio di povertà o esclusione sociale. Al contrario, la provincia di Bolzano vede salire l’esposizione delle famiglie a situazioni di fragilità.

 

Scarica il pdf: TRENTINO, IL T report ART 150623