l’Adige – 11 giugno 2023

Sanità. «No, non spingiamo verso i privati»

Quello che è emerso dopo quattro ore di confronto tra esperti della materia non è una buona notizia: la sanità trentina è in grande difficoltà. L’hanno detto sostanzialmente tutti, dai politici – che hanno difeso e rivendicato il loro operato ai vertici degli ordini professionali fino ai medici e infermieri. L’appuntamento ieri mattina era con una sorta di congresso, dall’ambizioso titolo «Gli stati generali della sanità trentina». A organizzare il gruppo consiliare di Fratelli d’Italia, con in testa Claudio Cia. Presenti Bruna Dalpalù e Katia Rossato, si è visto il senatore Andrea de Bertoldi, assente la candidata presidente Francesca Gerosa. Assenti anche i vertici dell’Azienda sanitaria. Cinquanta i presenti in sala, di cui però una dozzina nelle vesti di relatori in attesa del proprio turno. Venendo ai contenuti, come detto la diagnosi è condivisa: il paziente, ovvero la sanità trentina, ha bisogno di essere curato.Nonèinfindivitaecisono altri pazienti messi peggio (magra consolazione per chi sta soffrendo), ma di sicuro non sta bene. La prognosi resta riservata, mentre per la terapia da seguire non c’è condivisione.
La giornata è stata inaugurata dai politici. Il presidente del consiglio Walter Kaswalder ha detto: «Ok alle critiche, ma non facciamoci travolgere dal “tutto va male”. Anche perché si può uscire da questa situazione lavorando insieme». Parola poi all’assessora Stefania Segnana: «Nel 2018 la situazione era già critica, con una sanità Trento centrica e con via Degasperi (sede dell’Apss ndr) vista come una sorta di entità irraggiungibile». Su una deriva verso il privato Segnana è stata categorica: «No, non abbiamo nessuna intenzione di guardare al modello Lombardia. Da noi c’è convivenza tra pubblico e privato e chiediamo un aiuto al privato per le liste d’attesa».
A fotografare poi la situazione ci hanno pensato i presidenti di Ordini e Consulta. «Gestire la sanità non è facile -ha esordito Marco Ioppi, presidente dell’Ordine dei medici -ma qui abbiamo l’autonomia e quindi ci sono le possibilità per fare qualcosa in più. Bisogna valorizzare il personale e togliere l’asfissiante burocrazia. Ci sono medici di Pronto soccorso che per 3 giorni fanno 12 ore e poi vengono messi in ferie per 3 giorni. La loro risposta? Se ne vanno a Bolzano. Ancora: a una giovane e brava pediatra di Rovereto hanno imposto di andare a coprire turni negli ospedali periferici per dei servizi inutili. La risposta? È andata in Veneto, dove le hanno costruito un percorso professionale su misura». Da medici agli infermieri: «Dobbiamo affrontare questa forte crisi – spiega il presidente Daniel Pedrotti -, con le liste d’attesa che si allungano, la fatica a innovarsi e i bisogni che aumentano. In Trentino stimiamo una carenza di circa 500 infermieri». Poi l’applauso della sala quando Pedrotti ha sottolineato che «il rischio del nostro sistema sanitario pubblico è di andare verso la mera produttività e perdere le relazioni». Sulla telemedicina è intervenuto in collegamento Nicola Paoli, medico e segretario Smi. Ma sul tema Ioppi è stato categorico: «La telemedicina è importante, ma va utilizzata in maniera corretta: non potrà mai sostituire una visita e non è una solu-
zione per la carenza di medici». In generale sul tema salute è intervenuto Renzo Dori, presidente della consulta: «Per prognosi e terapia bisogna tenere conto dell’invecchiamento della popolazione: ogni 100 giovani ci sono 167 anziani e la denatalità è forte. Il sistema va riformato e ridisegnato: con le risorse aggiuntive del Pnrr c’è l’occasione per farlo. I Pronto soccorso sono subissati perché non c’è prevenzione e non c’è integrazione tra servizi: sanitario, socio sanitario e sociale devono camminare insieme». Se Salvatore Desiderio del Sumai ha sottolineato che «la sanità è unica e non va divisa tra ospedali e territorio», la presidente Upipa Michela Chiogna ha preso la parola dopo aver sentito parlare per due ore di cronicità, territorio, anziani. «Mi permetto di dire che parlare di tutto questo senza citare le Rsa è improprio: riteniamo sia necessario rivedere gli obiettivi e la distribuzione delle risorse, riprogrammando il ruolo delle Apsp. Va benissimo l’assistenza domiciliare, ma qual è il nostro ruolo? Siamo troppo spesso dimenticati». Poi l’appello, accorato e applaudito, di Marco Ioppi: «Il rischio di una sanità diseguale è forte. Ci sono cittadini meno uguali di altri nell’accesso ai servizi. La politica esca dalle stanze dell’Azienda sanitaria. L’accesso alle cure sia equo».
Prima dell’intervento dei tre medici Daniela Bernardi, Giusto Pignata e Maurizio Rosati, c’è stato il confronto con le parti sociali. E si è parlato ovviamente di soldi, intesi come contratti da rispettare e da aggiornare. Ma anche del fatto che questi stati generali dovevano essere organizzati 5 anni fa, non adesso. «Pur con una formazione molto elevata – ha detto Cesare Hoffer di Nursing Up – siamo al 25esimo posto in Europa come stipendi. Gli infermieri sono pochi e male utilizzati: il nostro tempo deve essere di cura, mentre al 40% se ne va per burocrazia e telefonate, sostituendo personale amministrativo che non c’è». «Il Trentino è stato un modello – ha aggiunto Beppe Pallanch della Cisl – e ora stiamo scivolando indietro. La sanità è sotto finanziata e il morale del personale è a terra: io parlo ogni giorno con tanti dipendenti, l’altro giorno una infermiera mi ha detto “chissà se questa estate potrò andare in ferie”». Sono Brugnara, medico e segretaria Cimo: «È un brutto momento: i medici si sentono soli e abbandonati. E c’è il tema dei libero professionisti e dei gettonisti». Su questo si è scatenato Giuseppe Varagone (Uil): «Al Pronto soccorso di Trento ci sono 18 libero professionisti su 31 medici. In quello di Rovereto 14 su 20 sono gettonisti e specializzandi, mentre ad Arco su 7 solo 3 sono medici strutturati. Come si può pretendere un lavoro d’equipe e uno spirito di appartenenza? Molti scappano verso Bolzano, dove lavorano meno e guadagnano di più». Paolo Panebianco (Fenalt) ha puntato sugli aspetti umani: «Tanti se ne vanno, rinunciando magari a qualche centinaio di euro. E mi dicono che vanno via “perché almeno ho trascorso il Natale con mia figlia”».

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